domenica 21 settembre 2014

BAI BANG + RECKLESS




Padova sempre più versione italica di Kalimantan (città più inquinata dell'Indonesia), ma col bonus di una viabilità definitivamente incomprensibile. Per l'ennesima volta arrivo al Grindhouse seguendo una strada diversa e tutt'ora non ho ben chiaro in che regione mi trovassi.
Il locale è noto: grande come una scatola da scarpe, ben gestito e perfetto per concerti underground come questo, visto che con qualche decina di avventori si ha l'effetto tonnara. In più c'è la presenza fissa di ragazze immagine che smutandano e sculettano, attirando rockerz pronti a tutto pur di vedere un sedere: insomma, in qualche modo la gente arriva sempre, anche se spesso abbiamo il parcheggio in pieno fermento e il locale semivuoto.
Bar trascurabile per qualità (birra solo in bottiglia, parecchi superalcolici da stordimento), ma la chicca clamorosa dell'imitazione della RedBull made in Discount D+: la miglior scorciatoia per l'acidità di stomaco! Ma tanto si guarda solo l'ombelico della barista...

RECKLESS. Eroi locali: tutti gli avventori del bar del paese, tutti i membri della Pro Loco, tutti gli animatori dell'oratorio sono presenti per supportare i Reckless. Prestazione dinamitarda e mossette sincronizzate come se il Capodanno del 1988 non ci fosse mai stato e “Dirty Dancing” sbancasse al botteghino. Chiome da Antico Regime, spandex, fisici segaligni e zigomi acuminati, con contorno di Hard Metal ruffiano ma tagliente e corde vocali lancinanti strappate dalle gole di Blackie Lawless e Tom Keifer. Batterista una spanna sopra, poche storie. Promossi alla grande, urge però far colletta per mandarli in palestra a metter su qualche kg di brutali muscoloni da supermachos, perché il peso medio della band è decisamente troppo basso.

BAI BANG.
La band. Ladri certificati di riff e ritornelli, gli svedesi sanno suonare senza far troppo schifo. I loro CD sono divertenti, ma è chiaro a tutti che siamo perlomeno in serie B (zona retrocessione). Il più dignitoso è il batterista, che non rischia oltre il 4/4 standard, ma fa benissimo le tonalità alte nei cori salvando spesso la baracca (alla fine è l'unico con cui ho parlato, simpatico e puzzolente). Il chitarrista albino è quello più motivato, nel sesso post-show ci crede tantissimo e tempo 2 canzoni è già a petto nudo. Bassista cinquantenne con panza e tatuaggi da Hells Angels (gli under 25 leggano “Sons of Anarchy”): disastrosa la catenella naso-orecchio, che è troppo corta e sembra un apparato medico per deficienze respiratorie.
Diddi. Mezzo secolo portato male, parrucca corvina con bandana anti-stempiatura, pelle arancione da Umpa Lumpa, tatuaggi in stile bimbominchia roccherrolle con abbondanza di stelline, tettina cadente. Un ributtante incrocio tra Bryan Ferry e Pippo Baudo. Voce anonima (quella che abbiano tutti cantando sotto la doccia) e movenze limitate tipo i vecchi con l'anca d'acciaio. Blatera qualcosa riguardo all'essere sveglio da 24 ore, un paio di volte chiude gli occhi e si dimentica di riaprirli, poi cede di schianto dopo 47 minuti di show e buonanotte.
Il pubblico. Quelli del Grindhouse non son nati ieri e piazzano una prima fila di ragazze immagine per le prime canzoni. La band si gasa oltremodo (a parte il cantante, che dovrebbe avere altre preferenze), in particolare il chitarrista che spara qualche frase italiana da rimorchio imparata al Campeggio Union Lido di Jesolo, poi passa alle bestemmie e saltella felice come un bimbo che ha fatto la monellata. L'incantesimo finisce dopo 3 canzoni, quando le ragazze s'allontanano portando con sé qualche decina di fissaculi (maschi italici ipnotizzati dal sedere o dal seno di ogni donna a portata di sguardo).
Lo show. Avendo rubato tutti i ritornelli alle canzoni più famose dell'hard rock, è un piacere cantare a squarciagola le loro versioni zappaterra di “Livin' on a Prayer” o “Let's Get Rocked”. Peccato che dopo una decina di pezzi la band decida di finire lo show adducendo scuse tipo “il cane mi ha mangiato i compiti per casa”. Ma insomma, sono anche le 2 di notte e abbandonare l'Indonesia per tornare a Treviso mi sembra una prospettiva alquanto allettante.
Poi decido che, poveracci, alla fine m'han fatto divertire e qualche contributo ci vuole, sennò come fa Diddi a pagarsi le lampade? Al merchandising vendono i loro CD e non hanno magliette, ma solo canottiere perfette per guardare la televisione mangiando frittate. Tranquillo Diddi, ora ho la tua canottiera e tu puoi rinnovare l'abbonamento al solarium.