mercoledì 14 ottobre 2015

Totaaaaaaallll Fuckinnnnnn' Alienation!!!


I miei conoscenti, che hanno la sventura di confrontarsi con la logorrea persistente che mi caratterizza (sin da neonato, quando invece di piangere per chiedere il latte, iniziavo a disquisire di pro e contro della poppata al seno della mamma per tempi prolungati), sanno che qualche mese fa ho conseguito l'abilitazione all'insegnamento. Il corso si chiama TFA. Senza di esso, non puoi insegnare a scuola. Ma anche con l'abilitazione non si lavora. Quindi la domanda che soggiace a tutto ciò è: che cosa ho fatto realmente in quei 6 mesi da febbraio a luglio 2015? A parte scrivere cose a caso, che venivano valutate positivamente o negativamente in base all'umidità...
Sulle dinamiche del corso sto scrivendo un romanzo, che oggi come oggi è in alto mare poiché ho le Fiere di San Luca davanti a casa e vedere 12enni “cicca in bocca e Tagadà” non è il massimo dell'ispirazione (a meno che uno non abbia veramente bisogno di andare in bagno, in tal caso il miracolo è garantito). Aggiungo inoltre che dopo una frittella delle Fiere lo shock glicemico ti manda in letargo per tutto l'autunno: altro elemento che gioca a sfavore di un serio impegno letterario. E per uno come me, che ha fatto i miliardi grazie a questo blog, è una sconfitta.
Ergo, butto là due righe su questo TFA, giusto per evitare ai posteri di incorrere nella medesima sventura. E soprattutto per non dimenticarmene, vista la mia tendenza a vivere esclusivamente in un presente atemporale dove il passato non esiste e il futuro è unicamente l'aspettativa di consumare proteine.
Le cose da dire sarebbero parecchie. Non parliamo di soldi spesi, perché erano noti sin da subito e te la metti via che per qualche mese mangerai pane, insalata e patate crude. Non parliamo del fatto che fosse “organizzato” (virgolette, notare) a Venezia, che già è comoda come il puff di Fantozzi e d'inverno è allegra come fare la popò in compagnia. Eviterò anche di menzionare che i corsi, strategicamente posizionati di pomeriggio per permettere la frequenza a chi lavorava di giorno, erano sparsi ai quattro angoli della città e anche nella ridente zona industriale di Marghera, perché “è sempre un casino trovare le aule per ospitarvi” (cit. segreteria, a cui chiedo quindi umilmente scusa per aver preteso aule quando ci si poteva sistemare anche in qualche bar di cinesi, che paiono abbondare a Venezia).
E allora di che si parla? Del fatto che è stata una di quelle esperienze che possono condurti all'alienazione. Ma solo se glielo permetti. È facile uscire di senno quando in una giornata devi fare lezione a scuola, seguire i corsi TFA e poi in serata magari scrivere un elaborato su quello che ti è stato detto a lezione: salvo poi rendersi conto che il materiale prodotto entra in contraddizione con quanto appreso in altri corsi già frequentati oppure addirittura con quanto esposto nella lezione precedente dal medesimo docente. Spesso questi “compiti per casa” si sono risolti in un “scava la buca, riempi la buca, spacca la pietra, incolla la pietra” finché, sparando a caso, incocci in un giudizio positivo (sul quale non puoi basarti per i lavori successivi, visto che i parametri di giudizio sono stabili come il Tagadà). Ma sono sopravvissuto alla pioggia di fango nel campeggio di Wacken, al gomito spaccato andando in bicicletta a comprare dei fiori, alla mancata pubblicazione di un mio libro perché mi ero dimenticato di scriverlo anche se avevo incassato un anticipo dall'editore... che vuoi che siano i deliri generalizzati di pedagogisti (secondo cui fare lezione normalmente è impossibile, perché i ragazzi si addormentano dopo che li hai salutati entrando in classe) e professori emeriti (secondo cui tutto quello che hai studiato è sbagliato, ma potrebbe anche essere vero se coincidesse con quello che hanno scritto loro)?!?
Ultima chicca prima di passare a cose diverse (come fissare le ragnatele sul soffitto sperando che i ragni, sentendo la pressione psicologica, se ne vadano da soli): la T di TFA sta per “tirocinio”. E allora parliamone. Mi viene detto di “arrangiarmi a trovare un tutor” per svolgere il tirocinio in aula. Andando sul sicuro, chiedo al liceo dove ho già insegnato. Chiaramente mancano convenzioni, permessi, assicurazioni, indulgenze e reliquie di santi: insomma, tutto quello che serve per attivare il progetto. Risolta magicamente la cosa dalla segreteria del TFA con un “tu inizia, poi vediamo”, mi assegnano il tutor: lo devo affiancare nei mesi di aprile/maggio/giugno, mesi nei quali dovrei fare io lezione al posto suo per uno sproposito di ore. Il povero Cristo sa che è stato fregato dal sistema, ma mai quanto me, che nel frattempo devo anche gestire le mie 5 classi. E poi mettiamoci nei suoi panni: non è proprio il massimo fare lezione mentre sei osservato da un tirocinante quasi 40enne con barbaccia, capelli lunghi e 10 anni di esperienza in classe, facendo finta che sia un ragazzino neolaureato che si caga in braga se spiegando Kant confonde (ocio!) le forme a priori della sensibilità con le forme a priori dell'intelletto (ma qui interviene il pedagogista che ti dice che hai sbagliato a fare lezione così, che i ragazzi si sono appisolati, che non sono più motivati, che abbandoneranno la scuola e la colpa è tua).

Non svelo come ce la siamo sbrogliata, quello è un capitolo clamoroso del futuro romanzo da cui ci tiriamo fuori minimo un serial tv da 3 stagioni con guadagni di quelli seri, di quelli che ti permettono di dire “Oggi faccio la spesa al Lidl invece che al D+”.