sabato 5 maggio 2018

Frontiers Rock Festival 2018: il festival indoor col maggiore afflusso outdoor

FRONTIERS ROCK FESTIVAL
Day 1 – 28 APRILE 2018
Live Club (Trezzo sull'Adda – MI)



Il pubblico del Frontiers Rock Festival mi ricorda i gerarchi nazisti nel film “La caduta”: tutti a far festa mentre le bombe stanno trasformando Berlino in un parcheggio. E mentre il mondo musicale è ormai partito verso lidi imperscrutabili, gli appassionati di HardRock/AOR si ritrovano a Trezzo sull'Adda. Tutti conoscono tutti e incanutiscono insieme gioiosamente, come gli alpini o i radioamatori.
Il tempo passato a farsi foto è ben superiore a quello trascorso sotto il palco, la frase più comune è “Li ho già visti nel 198...” e verso sera la caccia ad un posto a sedere è degna di una gita dell'ospizio al museo. Ma è proprio il genere che sta invecchiando (bene o male, dipende dai punti di vista) e così il suo pubblico. Resta da sperare che la scienza si sbrighi a creare parti umane intercambiabili, unica soluzione per evitare che si proceda verso l'estinzione fisica dei Rocker (musicisti e fans).
Comunque sia, anche quest'anno solo una giornata del Festival per me. Vissuta al massimo, almeno fino a quando le gambe hanno retto. Poi divano e borsa dell'acqua calda. Che a far sociologia da ignoranti si sbaglia, ma tanto non te ne rendi conto.

HELL IN THE CLUB.
Il fascino dell'autogrill e dei provoloni al pepe mi impedisce di arrivare in tempo a vedere gli HINTC. In molti non hanno apprezzato lo show, ma senza alcun riferimento alla prestazione tecnica, alla presenza scenica e alle canzoni. Evidentemente la band deve aver rubato le autoradio a parte del pubblico. Oppure hanno molestato le fidanzate immaginarie di molti presenti. Io me li ricordo bravetti, ma l'autoradio ce l'ho ancora e la mia fidanzata esiste...

BIGFOOT.
Crassa ignoranza la mia, che arrivo allo show senza sapere nulla su questi 5 inglesi. Possono vantare una quantità di capelli collettiva imbarazzante, più di Praying Mantis e MTB messi assieme. Hard Rock classico, col cantante che ghigna come Jack Black (e mangia pure come lui, a occhio) e ogni tanto azzecca il ritornello, ma poi si lanciano anche sul blues e quando sento un po' di blues mi metto la retina per non perdere i capelli e scappo fuori (dove è pieno di donne, giacché il blues è uno dei massimi generi scacciafighe).

AMMUNITION.
Dalla Norvegia in una tempesta di sudore e problemi tecnici piombano sul palco gli alfieri del rock sbarazzino e facilone. Il bassista Lasse Kjus è il top dei top: praticamente un paracarro con zazzera da denuncia e occhiali da carcerazione immediata... volevo farci una foto, ci sono riuscito e ve la godete alla fine del report. 
Il batterista Tore André Flo neanche l'ho visto, mentre il tastierista Kjetil André Aamodt sembra un colletto bianco, ma ha il pregio di sparare le basi con grazia e nonchalance. 
Il chitarrista Ole Gunnar Solskjær mi è parso troppo magrolino per reggere l'urto dei suoi compagni. Ma la punta di diamante è il cantante Åge Sten Nilsen, un mio eroe personale dai tempi dei Wig Wam: sudato fin dagli anni '90, Nilsen oggi sembra Elvis a fine carriera con i capelli di Izzy Stradlin. La voce c'è sempre e il carisma non è da meno, in più suona pure la chitarra con risultati da immediata retrocessione al primo anno di conservatorio (ovviamente questa la sparo senza sapere niente di come si suona). Per me eroi veri, a testa alta mentre infuria la tempesta dei suoni a vanvera.

PRAYING MANTIS.
Io lo so che quasi tutti amano i Praying Mantis quando fanno i metallari con le cavalcate stile Maiden e il chiomatissimo singer (eccezione meravigliosa in una band che ha perso la lotta contro la calvizie da decenni) a ululare alla luna. Io però li preferisco iper melodici e strappalacrime, quando azzeccano tutti gli elementi di una canzone e consegnano a noi piccoli gioielli di perfezione. In quei momenti si vola alto. Poi svaccano con le peggiori camicie del Frontiers 2018. Ma sono inglesi, le loro signore vanno all'ippodromo coi fagiani sul cappello...

MICHAEL THOMPSON BAND.
Il sound del capitalismo. Zero urgenza rock, zero spigoli, zero ruvidità. Suoni perfettamente calibrati, melodie ariose e ricercate, una cura per il singolo dettaglio che funziona solo se sei un medio-alto borghese appagato che ama dedicare tempo e cura alle cose che fa. Avessero l'orto, avrebbero i pomodori grossi come meloni. La Weltanschauung (e avanti di perle ai rockers...) dei MTB è yankee fino al midollo, quella della classe media benestante che ha la piscina in giardino, i figli al college, il cottage sul lago e qualche arma da fuoco nella dispensa. A vederli sembrano una band da matrimoni (dicono il cantante sia un leader del settore), poi sciorinano tutte le hit clamorose dei due album e ti stendono con la qualità. I Rockers duri e puri ovviamente se ne fregano e stanno fuori a farsi i selfie, perdendosi il bassista Larry Antonino che è più anni '80 di chiunque altro nel raggio di 10 km: avrebbe potuto essere il protagonista di “Chips” o “Hazzard”, i riferimenti culturali di tutto il blocco occidentale durante la Guerra Fredda. Giudizio finale sul leader Michael Thompson: guitar work impeccabile, chioma impressionante, attitudine rilassata da conto in banca a parecchie cifre.

QUIET RIOT.
I QR sono stati al posto giusto (USA) nel momento giusto (1983): si può dire siano rimasti lì, in questo stallo temporale in cui la loro musica è rimasta (quasi) sempre la stessa, mentre la band invecchiava e il pubblico se ne fregava sempre di più. Chuck Wright è chiaramente indigente, sennò a 60 anni non sarebbe in tour con i QR e avrebbe i fondi per la chirurgia estetica: invece deve mettersi occhiali e cappello in un Live Club al 110% di umidità e deve tenere la bocca a culo di gallina per stirare le rughe. Poi al basso è fenomeno vero, ci mancherebbe. Stessa cosa per Frankie Banali: tra barbaccia e parrucca e occhiali da sole, il suo volto è occultato dal 1992 (anno in cui, con un drumset di fustini e padelle, ha imposto a “The Crismon Idol” dei WASP una confusione sonora che per fortuna non rende l'album meno capolavoro). Comunque hanno portato a casa la pagnotta e mi sarei stupito del contrario: i tre vecchiacci suonano dal 1871 e il giovane Durbin ha la forza per trascinare un pubblico che ha l'età media di suo padre.

STRYPER.
Gesù deve essere un po' dalla loro parte, se gli Stryper sono ancora in giro a suonare concerti belli e vigorosi, nonostante da studio siano coinvolgenti come un'omelia al matrimonio del cugino che detesti. Comunque si tengono bene, Michael Sweet ha ancora voce per ammonire i non timorati di Dio e il nuovo bassista Perry Richardson sfoggia una chioma in stile Versailles 1789. La scelta di meno classici e più roba nuova lascia al pubblico parecchio tempo per servizi fotografici artigianali all'esterno del locale o davanti al wc. Per punirmi del mio ostinato rifiuto di partecipare alla pesca di beneficienza della parrocchia, gli Stryper mi lanciano pure una Bibbia, che schivo neanche fosse un cavolfiore marcio.
Poi una visione illuminante: trattasi di una band di scismatici luterani invisi alle gerarchie papali e qui in Italia i papisti è meglio tenerseli buoni...

Per evitare la scomunica di Papa Francesco scappo nella notte verso l'autostrada, anche perché “highway and neon lights” è troppo Eighties. Ma tutti gli autogrill sono pieni di ultrà che rientrano dai loro rituali collettivi e la salvezza la raggiungeremo solo rientrando nella Madre Terra Veneta, dove ogni campanile scatena faide secolari. Troppa vita troppo in fretta, prima di scrivere questo report serviranno giorni di severa e purificante agricoltura.

RINGRAZIAMENTI doverosi:
a Checco e Caio, che ne sanno di calcio, bevono con stile e la musica la ascoltano;
a Lorenzo Vettorello e Notturno Metal Radio Show, che cacciano i soldi per le trasferte e pagano le parcelle degli avvocati;
a quelli che ho incontrato e con cui ho fatto foto: sono diventato arrogante e spocchioso a causa della subitanea popolarità e la mia famiglia ringrazia;

alla Frontiers, che organizza una cosa bella e giusta oltre ogni ragionevole dubbio.


Eccomi col bassista degli Ammunition: vogliategli bene come gliene voglio io.