I miei conoscenti, che
hanno la sventura di confrontarsi con la logorrea persistente che mi
caratterizza (sin da neonato, quando invece di piangere per chiedere
il latte, iniziavo a disquisire di pro e contro della poppata al seno
della mamma per tempi prolungati), sanno che qualche mese fa ho
conseguito l'abilitazione all'insegnamento. Il corso si chiama TFA.
Senza di esso, non puoi insegnare a scuola. Ma anche con
l'abilitazione non si lavora. Quindi la domanda che soggiace a tutto
ciò è: che cosa ho fatto realmente in quei 6 mesi da febbraio a
luglio 2015? A parte scrivere cose a caso, che venivano valutate
positivamente o negativamente in base all'umidità...
Sulle dinamiche del
corso sto scrivendo un romanzo, che oggi come oggi è in alto mare
poiché ho le Fiere di San Luca davanti a casa e vedere 12enni “cicca
in bocca e Tagadà” non è il massimo dell'ispirazione (a meno che
uno non abbia veramente bisogno di andare in bagno, in tal caso il
miracolo è garantito). Aggiungo inoltre che dopo una frittella delle
Fiere lo shock glicemico ti manda in letargo per tutto l'autunno:
altro elemento che gioca a sfavore di un serio impegno letterario. E
per uno come me, che ha fatto i miliardi grazie a questo blog, è una
sconfitta.
Ergo, butto là due righe
su questo TFA, giusto per evitare ai posteri di incorrere nella
medesima sventura. E soprattutto per non dimenticarmene, vista la mia
tendenza a vivere esclusivamente in un presente atemporale dove il
passato non esiste e il futuro è unicamente l'aspettativa di
consumare proteine.
Le cose da
dire sarebbero parecchie. Non parliamo di soldi spesi, perché erano
noti sin da subito e te la metti via che per qualche mese mangerai
pane, insalata e patate crude. Non parliamo del fatto che fosse
“organizzato” (virgolette, notare) a Venezia, che già è comoda
come il puff di Fantozzi e d'inverno è allegra come fare la popò in
compagnia. Eviterò anche di menzionare che i corsi, strategicamente
posizionati di pomeriggio per permettere la frequenza a chi lavorava
di giorno, erano sparsi ai quattro angoli della città e anche nella
ridente zona industriale di Marghera, perché “è sempre un casino
trovare le aule per ospitarvi” (cit. segreteria, a cui chiedo
quindi umilmente scusa per aver preteso aule quando ci si poteva
sistemare anche in qualche bar di cinesi, che paiono abbondare a
Venezia).
E allora di che si
parla? Del fatto che è stata una di quelle esperienze che possono
condurti all'alienazione. Ma solo se glielo permetti. È facile
uscire di senno quando in una giornata devi fare lezione a scuola,
seguire i corsi TFA e poi in serata magari scrivere un elaborato su
quello che ti è stato detto a lezione: salvo poi rendersi conto che
il materiale prodotto entra in contraddizione con quanto appreso in
altri corsi già frequentati oppure addirittura con quanto esposto
nella lezione precedente dal medesimo docente. Spesso questi “compiti
per casa” si sono risolti in un “scava la buca, riempi la buca,
spacca la pietra, incolla la pietra” finché, sparando a caso,
incocci in un giudizio positivo (sul quale non puoi basarti per i
lavori successivi, visto che i parametri di giudizio sono stabili
come il Tagadà). Ma sono sopravvissuto alla pioggia di fango nel
campeggio di Wacken, al gomito spaccato andando in bicicletta a
comprare dei fiori, alla mancata pubblicazione di un mio libro perché
mi ero dimenticato di scriverlo anche se avevo incassato un anticipo
dall'editore... che vuoi che siano i deliri generalizzati di
pedagogisti (secondo cui fare lezione normalmente è impossibile,
perché i ragazzi si addormentano dopo che li hai salutati entrando
in classe) e professori emeriti (secondo cui tutto quello che hai
studiato è sbagliato, ma potrebbe anche essere vero se coincidesse
con quello che hanno scritto loro)?!?
Ultima chicca prima di
passare a cose diverse (come fissare le ragnatele sul soffitto
sperando che i ragni, sentendo la pressione psicologica, se ne vadano
da soli): la T di TFA sta per “tirocinio”. E allora parliamone.
Mi viene detto di “arrangiarmi a trovare un tutor” per svolgere
il tirocinio in aula. Andando sul sicuro, chiedo al liceo dove ho già
insegnato. Chiaramente mancano convenzioni, permessi, assicurazioni,
indulgenze e reliquie di santi: insomma, tutto quello che serve per
attivare il progetto. Risolta magicamente la cosa dalla segreteria
del TFA con un “tu inizia, poi vediamo”, mi assegnano il tutor:
lo devo affiancare nei mesi di aprile/maggio/giugno, mesi nei quali
dovrei fare io lezione al posto suo per uno sproposito di ore. Il
povero Cristo sa che è stato fregato dal sistema, ma mai quanto me,
che nel frattempo devo anche gestire le mie 5 classi. E poi
mettiamoci nei suoi panni: non è proprio il massimo fare lezione
mentre sei osservato da un tirocinante quasi 40enne con barbaccia,
capelli lunghi e 10 anni di esperienza in classe, facendo finta che
sia un ragazzino neolaureato che si caga in braga se spiegando Kant
confonde (ocio!) le forme a priori della sensibilità con le forme
a priori dell'intelletto (ma qui
interviene il pedagogista che ti dice che hai sbagliato a fare
lezione così, che i ragazzi si sono appisolati, che non sono più
motivati, che abbandoneranno la scuola e la colpa è tua).
Non
svelo come ce la siamo sbrogliata, quello è un capitolo clamoroso
del futuro romanzo da cui ci tiriamo fuori minimo un serial tv da 3
stagioni con guadagni di quelli seri, di quelli che ti permettono di
dire “Oggi faccio la spesa al Lidl invece che al D+”.