ROYAL RUMBLE
Voodoo Child Pub, Nebbia
e campi (VE)
WAYLANDER
(superultratrentenne bamboccione ancora fermo alle superiori)
È
arrivato il bonifico dei Royal Rumble (12 euro, “sconto
disperazione”) e quindi, ligio ai consigli del mio avvocato,
produco recensione esaltante, come previsto nel contratto. Locale
gremito all'inverosimile di varia gioventù, fisicamente male in
arnese, ma splendidamente padana. Tutti in attesa dei Wild Pipes
(band hard rock che abita nello scantinato del pub), ma i Royal
Rumble si appropriano del pubblico altrui e sciorinano una decina di
pezzi al fulmicotone. Lo show si apre con una cascata di guitar-solos
che proseguirà fino a svenimento dei chitarristi per denutrizione,
seguono riff spaziali con cui la band scolpisce dei veri e propri
blocchi di granitico Hard Rock. Le lunghe chiome del cantante e del
batterista sono la risposta a chi li accusa di essere una band di
impiegati della Miralanza, qui l'unica chimica è quella degli
smanettoni e del bassista che vorrebbe smanettare un sacco anche lui
ma, si sa, il basso nel Rock non si sente e va bene così. Suonano
tutte e due le lor super-hit e anche una serie di nuovi pezzi tra il
brillante e lo scalpitante, il tutto gestito con sapienza dalla voce
alcolica di Bruseghin, che evidentemente quando suona a 30 metri da
casa dà sempre qualcosa in più. Alla fine del concerto arriva
l'altra band, ma sono già perduto nelle nebbie.
PLINIO (chief editor
presso “Dissonanze e Design”).
Un locale che nel 2012 ha un
arredamento che esclude del tutto bianco e acciaio dovrebbe essere
raso al suolo a colpi di supponenza. Non discutiamo poi degli
avventori, una mandria di boscaioli i cui grugniti in dialetto locale
fanno intuire che il Nordest non è in grado di sostenere
l'integrazione nemmeno tra paesi limitrofi. Le band che si esibiscono
rubano riff e solos da ogni act che abbia strimpellato tra il 1978 e
i 1986, con un'immagine pesantemente fuori sincrono. La prima band,
che il cantante chiama Roiarambo,
perde più tempo a ciarlare nei microfoni che a suonare, poi i
chitarristi se ne vanno a spasso per il locale perché probabilmente
gli altri 3 del gruppo gli stanno antipatici. La seconda band era
uguale alla prima, ma meglio vestita. Lo stetotipo della birra, le
camicie a scacchi come nel 1993, la nebbia da Carpazi: ecco dove è
finito il rock. Lasciamolo là.
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