Titolo volutamente ingannevole, orsù.
SABATO 12 LUGLIO
E piove! Dopo 4 anni
consecutivi di solleone al BYH (se escludiamo il diluvio infernale
durante lo show dei Venom nel 2012) la Germania tiene fede al suo
clima casuale. Nessuno prova pietà per le migliaia di ubriachi che
hanno passato la notte per terra sotto la pioggia, tanto questi si
svegliano, fanno colazione con uova-wurstel-caffé e alle 10 del
mattino riprendono con la birra...
Filo conduttore della
giornata: il cambio abito. Se piove ci sono 15 gradi, poi esce il
sole e si passa a 30 e così via per tutto il giorno. Evidentemente
l'alcolismo risolverebbe la situazione, ma non ce lo si può
permettere e quindi canotta/felpa a rotazione. Perché anche essere
poser richiede preparazione e sacrificio.
HIRAX. Famosi perché
hanno “il nero che canta”. Katon è Lenny Kravitz ricoperto di
borchie e sorridente, fa un macello impressionante insieme ai suoi
compari e a momenti piange per la partecipazione del pubblico. Vorrei
dire vaccate sugli Hirax, ma sono stati così onesti e potenti che li
promuovo abbestia!
MAD MAX. Hard Rock
Cristiano con supercori e potenza quadrata alemanna. Pare che da
qualche anno siano anche diventati ferventi cristiani, i Mad Max, ma
devono aver saltato qualche messa, perché Dio gli scatena un diluvio
di 11 minuti che serve unicamente a far scappare il pubblico al
coperto: danno grave, infatti al coperto ci sono gli stand di birra e
salsicce, che fanno totalmente dimenticare al pubblico chi sta
suonando.
EKTOMORF. Un tedesco me
li descrive (parole sue) come “zingari ungheresi uguali ai
Sepultura, ma con più tatuaggi”. Li guardo da 18 km di distanza e
la definizione è corretta. Quando sento il cantante che urla “Jump
Jump!” capisco che è ora di procacciarsi del cibo e dileggiare
degli sbronzi.
ROB ROCK. Rob è nato per
cantare Heavy Metal e ce lo ribadisce dispoticamente per tutto lo
show, ululando su note altissime mentre la band macina riff su riff.
Peccato per la pioggia, ma Rob con la potenza delle sue corde vocali
sposta le gocce che cadono davanti a lui lavando il pubblico in
fondo. Poi gli si spegne il microfono e lo si sente lo stesso fino a
Stoccarda. A tarda notte, in albergo, lo potevo sentire dalla
birreria di Balingen che si ordinava da bere e il giorno dopo, in
attesa al concessionario dell'Audi, lo si sente litigare
all'aeroporto di Francoforte perché non gli vogliono imbarcare il
suo shampoo preferito. Stentoreo.
STRYPER. Michael Sweet
andrebbe invidiato. È la voce perfetta e paradisiaca degli Stryper,
ha vissuto il delirio di onnipotenza del Metal anni '80 in USA, è un
performer che non sbaglia una virgola e comanda il pubblico con
un'occhiata, ha 51 anni e ne dimostra 15 in meno, canta inni a Gesù
e alla Madonna e nessuno si sogna di prenderlo per il culo,
addirittura quando scendono due gocce di pioggia si fa il segno della
croce e spunta il sole... Nella top 3 del festival senza indugio, con
approvazione dell'Altissimo e lo scorno di Belzebù Caprone. Talmente
in forma che avrebbero spinto al battesimo anche Margherita Hack.
Peccato per il mancato lancio delle Bibbie sul pubblico...
OBITUARY. Secchiate
d'acqua dal cielo mentre gli Obituary imperversano. Ma il mio tempo
viene speso a proteggermi nello stand di un senegalese domiciliato a
Milano che vende cappelli di fogge ridicole e qualità da quarto
mondo (roba che dopo qualche goccia di pioggia si sciolgono). Poi
staziono al Metalborse (la fiera del disco) dove alcuni standisti
sono talmente annebbiati dalla grappa che potresti rubargli la merce
con una mano e rivendergliela con l'altra.
UNISONIC. Analisi dei
musicisti di questo supergruppo di German Metal, dai minori ai
maggiori --> batteria e basso provengono dai Pink Cream 69 e gli
anni si sentono, soprattutto il girovita del bassista Ward ha ceduto
di schianto e sembra Peter Griffin; Mandy Meyer, in preda a un
attacco di autismo, suona con le mossette anni '70 e gli occhialetti
da John Lennon, ma la musica è Metallone Zuccherino e sembra fuori
dal mondo; Kai Hansen è un orso ciccione con gilet e parrucchino,
occhialoni da sole e una paresi facciale che lo porta a rimanere
sorridente anche quando s'incazza perché la sua chitarra non si
sente; Kiske è fenomenale come voce, impressionante per la facilità
con cui gorgheggia, ma è di una supponenza vergognosa e s'atteggia
come se non gliene fregasse niente del pubblico, provando anche a
fare il simpatico ma riuscendo solo a comunicare boria. Detto ciò,
concerto solido e impeccabile, anche nelle cover degli Helloween. Per
chi s'accontenta.
ANTHRAX. Li ho visti più
volte, ma decido di godermi almeno l'ingresso di Joey Belladonna.
Questo scalmanato ultracinquantenne con parrucca da competizione
entra zompettando come Gollum, punta il dito il faccia a tutti i
membri della band per ricordargli che è arrivato, blatera in
italo-yankee qualche assurdità e via come dei treni. Pubblico in
visibilio, band che si diverte, tutti i classici eseguiti alla grande
e cantanti quasi decentemente. Tipico concerto da Festival: alla fine
tutti son felici e si riprende a ingurgitare birra.
ATLANTEAN KODEX. Non ho
boiate da scrivere in questo caso. Una band che giustamente piace a
pochissimi e per questo il fanatismo è a livelli indicibili. Epic
Metal marziale ed eroico, con testi da genuflessione e una devozione
rara. In più di un'ora piazzano 8 pezzi, tanto per mettere in chiaro
che non sono qui per ammiccare a nessuno. Brutti il giusto per non
avere distrazioni di groupies e per sembrare incazzati con l'umanità
moderna, anche se poi sorridono di gioia al ruggito del pubblico.
Hanno un nano alla chitarra e il cantante sembra un agente del fisco,
ma la musica basta e avanza. Per me, e solo per me, la band del BYH.
EUROPE. Vedo solo la
conclusiva “The Final Countdown”, ma il pubblico è decisamente
deluso dalla scaletta: pochissimi classici e molta roba nuova, con
influenze Seventies e Blues in cui la band crede tantissimo, ma al
BYH sono proprio fuori contesto. Temo non vedremo di nuovo gli Europe
al Festival se prima non concordano la scaletta con gli
organizzatori. Bravissimi, chiomatissimi, con tutte le mosse giuste
da eroi, però effetto straniante per una musica che non è,
semplicemente, quella che gli spettatori volevano sentire.
DELAIN. Vedo qualche
pezzo prima dei Twisted Sister, i Delain son bravi nel loro genere e
hanno la cantante-velina. Come previsto, il parterre è affollato di
disagio, forfora, stempiature, pance a botticella, marsupi, una mano
nelle mutande e una a fotografare compulsivamente lato A e lato B
della povera Charlotte Wessels. Eppure, avendo seguito situazioni
simili anche in Italia, posso ancora confermare che i disagiati
italiani sono impareggiabili per faccia di bronzo e assenza di
scrupoli: questi tedeschi sbavano, ma son educati e stanno a
distanza, mentre i nostri avrebbero come minimo tentato l'invasione
del palco.
TWISTED SISTER. Non si
può scindere la definizione “Rockstar” dal nome “Dee Snider”.
Dee è Intoccabile Divinità del Rock e contemporaneamente ti fa
capire che è sul palco per te...
non per tutti gli spettatori, ma proprio per te, che hai pagato il
biglietto e meriti il miglior show della tua vita: eseguito da una
band perfetta con un frontman che ti fa dimenticare di essere al
mondo e magari dopo l'esibizione è anche capace di passare ore con
te a raccontarti puttanate al bar. Questi sono gli Stati Uniti,
questi sono i Twisted Sister e ringraziamo il Dio del Rock di poter
godere ancora una volta della grandezza di eroi simili, perché alla
fine dello show, mentre partono fiammate e granate, tutti i presenti
si sentono come gli ultimi ad aver visto Atlantide prima del
Cataclisma.
Nel
prossimo post, cibo a manetta!!!
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