mercoledì 13 ottobre 2010

The Convivenza Saga pt. X --> The Block.

La scelta del luogo dove vivere è stata influenzata da parametri imprescindibili.

  • Luce e acqua corrente, perché son nato nella bambagia e ho il vezzo di lavarmi i denti due/tre volte al giorno.

  • Parcheggio coperto per la moto. Da quando ho bucato la ruota della bici nel 2007 mi ritrovo un unico mezzo di locomozione: la moto. Chiaro che la suddetta non può venire trattata male come un'automobile, che si prende pioggia/sole/grandine/neve e popò di piccione 24/7.

  • Vicinanza di un rivenditore di kebab. Qui la cosa è andata di lusso, visto l'elevata densità di nord-africani che popolano il quartiere. A dirla tutta, ci sono pure parecchi nigeriani/senegalesi, i quali col kebab c'entrano nulla, ma ho voluto citarli lo stesso anche se privi di qualunque specialità culinaria degna di nota. Un po' mi ci sono anche affezionato, perché tendono a discutere urlando in mezzo alla strada e quindi ormai di loro so quasi tutto. Un appello alla signora Ezeokaka: riprenda a casa suo marito Isaiah, sono sicuro che ha una valida spiegazione per essersi fatto scoprire a brache calate in compagnia dell'estetista.

  • Vicinanza al discount In's: fiocchi di latte PROTEINE 13/GRASSI 0,4 (no bagigi) + petto di pollo PROTEINE INAUDITE + polpettoni danesi di carne macinata PROTEINE NON DI QUESTA GALASSIA.

  • Non richiesto, c'è anche il negozio di fumetti, che non mi serve per ciò che vende (ho letto fumetti per 15 minuti a fine anni '90 e ci ho speso centinaia di euro che non avevo) ma per la gente che ci va. Essendo uno dei principali ritrovi per disadattati (insieme ai concerti), posso soddisfare la mia passione per l'antropologia osservando usi & costumi di quella strana razza chiamata “lettore di fumetti”. A distanza, però: forfora e alitosi sono sempre in agguato. Meritano un post dedicato, quindi per ora taglio.

  • Palestra e campo da rugby sono a distanze ragionevoli. Più la prima del secondo. Dopo la prima si torna a casa subito, dopo il secondo si cerca di scansare le birre e fare la tangenziale in condizioni decenti.

  • Il centro di Treviso è raggiungibile comodamente a piedi o scomodamente in auto. Fondamentale quando si decide di fare il borghesissimo e di andare a fare aperitivo: anzi, a guardare la V che prende gli aperitivi. Ne approfitto per ribadire la superiorità del prosecco rispetto allo spritz. Inoltre con il prosecco non ti danno le patatine, così l'addominale può restare cromato come un riff di “Under Lock And Key”.

  • Cassonetti della spazzatura a portata di mano. Qualcuno quindi dovrebbe spiegarmi perché qualche vicino preferisce lasciar frollare l'umido in terrazzo per qualche settimana. A meno che la vecchia in questione non sia defunta, il che in effetti spiegherebbe l'odore.

  • Finestre dello studio posizionate in modo che “Eternal Prisoner” di Axel Rudi Pell possa risuonare in tutto il giardino, scrostando la ruggine dalla grondaia ed educando il vicinato alla monolitica ed ispirata ripetitività dell'axeman teutonico.


A latere, mi sto ascoltando il solista di Terry Brock, “Diamond Blue”. Uno dei miei AOR singer preferiti di sempre. Please, su Youtube si può ascoltare senza problemi l'hit-single “Jesse's Gone”. Da paura. Silenzio. Abbassare gli occhi. Genuflessione. E adesso che siete delle persone migliori, andate in pace.

domenica 10 ottobre 2010

The Dirty Penny File ( + Slovenian HR & Paduan PopPunk)

Quale dei quattro ha appena scoreggiato?

La band è bovara. Da Santa Cruz, California, un quartetto da tour nei bar locali, se non fosse che il Re della Melodia Johnny Lima ha deciso di produrre (male) i due album e di scrivere (bene) parte dei ritornelli. Impatto e melodie funzionano a corrente alternata, ma sul palco ci sanno fare (a Rocklahoma quest'anno hanno suonato 5 show in 3 giorni, e c'erano altre 50 bands... magari raccomandati, ma non certo incapaci): chitarrista ispanico tutto riff e pose plastiche, bassista L.A. Guns con basso vintage e tatuaggi alla rinfusa, batterista-wrestler lungocrinito che potrebbe anche farsene qualcuna.

Il cantante ha dimostrato molte cose. Ha dimostrato che sa giocare a calcio, che ha un tatuaggio da carcerato, che ha i capelli e anche il bandana e anche il cappellino da camionista. Non ha dimostrato però di saper cantare. Siccome non mi accontento e i ritornelli scritti da Johnny Lima li vogliono resi perfetti e intonati, delle due l'una: o impara a cantare o passa il testimone ad altri e si accontenta di stare allo stand del merchandising.

Inizio del concerto assurdo, con il batterista che perde subito una bacchetta a forza di battere, cori scombinati, chitarra che parte con assolo nonsense e, come l'aspartame sul baccalà, una voce degna di Donald Duck incazzato (o di Udo rilassato). Con il secondo pezzo la band recupera il senno e non si ferma più fino alla fine. Il cantante invece prosegue con l'imitazione del papero.


I Toxic Heart dalla Slovenia potrebbero essere i Bon Jovi slavi: ottima perizia strumentale, abbigliamento da dimenticare, qualche ritornello memorabile e la sensazione che servirebbe una rettoscopia per rimuovere le scope dal culo. In effetti l'atteggiamento da “band di paese alla sagra” non serve a nessuno e l'Hard Rock vuole gente arrogante e sborona, no boy-scout.

I cinque fans sloveni dei Toxic Heart escono prepotentemente dal Moskow Peace Festival del 1986. Capelli cotonati sfibratissimi e bicolorati artigianalmente, jeans a vita alta da paninari, chiodi XL (come quelli che si trovavano di contrabbando nell'URSS di Kruschev) o giacche jeans dell'Oviesse Slovena. Un paio tentano goffi approcci verso qualche donna italica, ma non parlano inglese e comunque l'aspetto li squalifica a vita: inevitabile il ripiego sull'alcol. Consumo alcolico sopra la media, tasso di svenimento tutto sommato modesto.


C'è stato anche un valido gruppo pop-punk da Padova. Pose rock e boiate a profusione, ma il genere non si può sentire. Il Bonny si entusiasma, compra copie del loro singolo e poi cerca di regalarle in giro credendo di fare gradito omaggio: ne avesse trovato uno che ha accettato il dono. E questo dice molto di più di qualunque altro giudizio personale.


Il fenomeno della serata: quarantenne con scarpette inglesi, pantalone di fustagno, giacca in pelle extralarge made in Taiwan, maglietta inquadrabile nella categoria Disperazione & Affini, berrettino da baseball e guanti in pelle. Ovviamente calvo. Sguardo da morto di figa, ma di quelli pericolosi, che nei momenti di sconforto potrebbero arrivare a molestare anche le pecore. Vive con la mamma (o meglio ancora, col cadavere della mamma in frigorifero). Si chiude nella sua stanza per mimare gli assoli di Tipton/Downing e per ammazzarsi con YouPorn. Presenza costante nei negozi di fumetti, preferenze per roba giapponese con storie incestuose e robot giganti.

Mosse preferite della serata: 1. mimare assoli seduto su due sgabelli contemporaneamente; 2. avanzare fin sotto il palco e poi dare le spalle alla band per gettare intorno sguardi pericolosi; 3. nascondersi dietro una colonna e lanciare sguardi pericolosi; 4. guardarsi con soddisfazione il guanto in pelle, indossato all'insaputa della mamma; 5. andare fuori di testa su “Rock You Like a Hurricane”, con combo di assolo + piroetta + sguardo pericoloso; fissare le donne come un tossico davanti a una dose.

mercoledì 6 ottobre 2010

Aggiornamento Dirty Penny


Qualcosa è successo...

i Bon Jovi sloveni e i loro fans;
i BlinkPlacebo padovani senza fans;
i Dirty Penny travestiti da Avenged Sevenfold e in piena di crisi di identità, ma senza alcun patema perché alla fine sono quattro disperati americani che suonano perché non sanno fare altro (a parte il cantante, che sa solo giocare a calcio ma il Legnano non lo ha voluto e allora si è riciclato imitatore di Paperoga).


A presto per sapere tutto