venerdì 17 febbraio 2012

Biografia inessenziale: la drammatica pubertà



Ah, gli anni '90... non ricordo di aver fatto nulla di costruttivo, semmai il contrario. Musicalmente fu un tracollo, camicioni a quadri e pizzetti anche nel pieno della Pianura Padana. Per tutto il resto, continuate a leggere.

1992. La famiglia compra casa a Jesolo: è la terra delle discoteche e a me piace il Metallo, ma posso ripiegare sulle sale giochi visto che mi regalano i gettoni. Delle amicizie comunque le faccio e l'estate acquisisce attrattive: qualcuno inoltre si degna di spiegarmi l'uso delle donne, anche se la cosa mi risulta alquanto astrusa.
Inizio con i giochi di ruolo e non ho ancora smesso, solo che ora sono bello e simpatico e intelligente, mentre allora ero solo un nerd.

1993. Liceo, Rugby, giochi di ruolo, Amiga, Metal. Ho 16 anni e non desidero altro.

1994. Decido di essere Metallaro anche nel look, è evidente che le braghe di fustagno hanno fallito e quindi tanto vale emarginarsi. Mi aiutano un paio di compagni di classe parecchio derelitti, che mi fanno comprare magliette trucide XXL e mi passano compilation su cassetta.
Rispettando lo sterotipo, comincio a bere birra: all'inizio mi fa schifo, ma resisto e sviluppo l'immunità. Trascino anche altri amici, la qualità della bevanda spesso è pessima causa denaro inesistente, ma le feste me le ricorderò per tutta la vita.

1995. Divento maggiorenne e non capisco a che pro. Tento la patente, ma vengo bocciato per disinteresse totale e mi faccio scarrozzare da mio cugino per un paio d'anni. Il rendimento scolastico e rugbystico è sempre impeccabile, quindi la famiglia accetta le scelte d'abbigliamento sperando che sia una fase. Per ribadire l'intransigenza mi decoloro i capelli: è un trauma che mio padre non supererà mai, ma quell'estate mi trovo una morosa occasionale e sono convinto di aver capito tutto dalla vita.

1996. Finisco il Classico con un voto buono ma non eccezionale, scappo immediatamente a Jesolo e faccio festa per tre mesi. Poi capisco che non posso andare a fare Medicina solo perché mi piace l'odore dell'ospedale e mi iscrivo a Storia a Venezia, senza pormi il problema di un futuro lavoro: pensavo ancora a Ghostbusters. Trovo anche la prima vera fidanzata, anche se sarebbe meglio dire che lei trova me... è comunque la conferma che il look straccione e i capelli decolorati a 19 anni danno una marcia in più. Nel frattempo ho sviluppato un carattere supponente e disinteressato al prossimo, mentre gli occhiali tondi continuano a farmi passare per intelligente.

1997. Prendo 30 al primo esame e la famiglia mi dice: “Perché niente lode?”. Capisco che mi attendono anni ingrati. Intanto mollo il Rugby, non ho più voglia e non me lo vedo come attività futura (in realtà non ho idea di cosa farò, studio Storia...): provano a farmi cambiare idea, ma a nessuno viene in mente di offrire soldi. Inizio ad andare in palestra e mi impegno anche, ma i risultati arrivano solo anni dopo, quando capisco che bisogna mangiare correttamente, bere poco e fare bene gli esercizi. Continuo ad avere la stessa morosa, comincio a capire qualcosa di donne ma non metto mai in pratica ciò che apprendo. Prendo la patente perché mi son rotto di girare sempre in bici.
Con un manipolo di eroi vado al primo Gods of Metal. Mi sento parte di qualcosa di grande, allora come oggi. Potrei scrivere tre romanzi e paio di saggi su quell'esperienza.

1998. Ho il chiodo, i capelli lunghi, la barbetta, ho cambiato occhiali, ogni tanto ascolto roba trucida per impressionare la gente (la quale giustamente se ne frega di me). Pochi soldi, ma tanti amici. Odio Venezia, che puzza d'estate e d'inverno ti gela le ossa, ma l'Università procede bene e vagheggio l'idea di restarci a lavorare: non mi accorgo che dovrei essere più servile verso i docenti, gente più sveglia di me si sta già dando da fare. Il Gods of Metal diventa appuntamento fisso. Non lavoro per non restare indietro con gli esami, quindi niente soldi e ferie a novembre, il mese che piace ai Metallari Depressi: io invece sognavo...

...Continua...

giovedì 16 febbraio 2012

Biografia inessenziale: anni brutti e malvestiti



Riprendo dai "Ghostbusters", di certo l'evento più rilevante dei miei primi anni di vita. Risolto il problema del "cosa farò da grande", mi accingo ad affrontare l'ottavo anno d'età...

1985. Feste di Carnevale all'INPS, gite aziendali col dopolavoro (vantaggi dei genitori dipendenti statali). Il disperato tentativo di insegnarmi a giocare a tennis, io preferisco leggere “Topolino” e sognare di essere Paperinik: in tale frangente assumo un'espressione vuota che viene scambiata per riflessiva. Manifesto attitudine al disegno e rudimentale forma di senso del dovere, più che altro senso di colpa, ma ciò fa di me un bravo studente.

1986. Sento per la prima volta Bon Jovi, mi piace, ma preferisco investire il mio tempo guardando i “Masters” (per inciso, fino a 14 anni ho dovuto chiedere il permesso per accendere la TV). Arriva la nube di Chernobyl e per un paio di settimane non ci fanno uscire in giardino per la ricreazione: basta poco per risolvere una crisi radioattiva. A Natale ricevo il Castello di Greyskull dei Masters e per 118 ore sono il bimbo più felice del pianeta: poi divento il più infelice perché voglio anche la Cittadella del Serpente.

1987. Mi metto gli occhiali: sono ufficialmente il secchione della classe. Non potendo più giocarmela con il geco e l'australopiteco, provvedo a leggere libri di mitologia e poi li riassumo per la maestra: voti altissimi, dovuti allo sfinimento della povera donna. Leggo anche “Il nome della rosa” e non ci capisco niente, ma passo per un genio. Faccio gli esami di quinta e volo alle medie, ma in centro a Treviso perché nel mio quartiere le medie “sono troppo facili”: non ho mai capito questo ragionamento dei miei genitori, ma l'ho già detto che facevo finta di essere intelligente.

1988.1. Inizio le medie, non conosco nessuno e scopro che la matematica è una materia malvagia, oscura, imbarazzante. Ho gli occhiali disastrosi, una pettinatura con la riga in parte, mi vestono con cardigan e pantaloni di fustagno. Sono però altissimo e quindi non vengo preso eccessivamente per il culo. Il mio disinteresse nei confronti delle femmine persiste per tutti e 3 gli anni, del resto mi avevano regalato un Commodore 64...

1988.2. Facendo le prove di atletica scopro che sono velocissimo: non avendo io mai corso per 11 anni, nessuno se ne era mai accorto. Vinco i Giochi della Gioventù e il mio futuro sportivo cambia: abbandono la pallavolo, sport per cui sono negatissimo, e passo al Rugby. A scuola mi conoscono perché corro veloce, sempre meglio che essere noti per l'abbigliamento da piccolo lord.

1989. Gioco a Rugby: non sono capace di passare né di calciare, ma sono una scheggia e mi piazzano all'ala. La paura di essere preso e picchiato mi spinge a correre ancora più veloce: una carriera costruita sul panico. Col tempo imparerò a passare il pallone, mai a calciare o a prenderlo al volo... nonostante questo, passo per un giocatore forte e saranno anni di soddisfazioni. I genitori calvinisti però mi obbligano a studiare come se facessi l'università e, giocando pure col C64, il tempo che mi resta lo passo a dormire.

1990. Ci sono i Mondiali di calcio, all'epoca seguo tutti gli sport (compreso l'hockey su ghiaccio e l'equitazione) e mi sento coinvolto da Schillaci e Baggio fino alla delusione finale: da allora smetto di tifare seriamente per chiunque. Ascolto Sting, ho i capelli lunghi e gli occhiali tondi: sono un radical-chic che dimostra 20 anni, ne ha 13 e ragiona come uno di 9. Finisco le medie e vado al Liceo Classico, perché mi piace leggere e si fa poca matematica.

1991. Compro il “Black Album” dei Metallica. BOOM!!! La vita cambia. Da allora, Metal!
Il Liceo è pieno di donne, ma io ho appena ottenuto l'Amiga 600 e lo studio di latino/greco + gli allenamenti di rugby mi impediscono di accorgermi della loro presenza. Comunque a livello di popolarità resto basso, il look da intellettuale può anche piacere, ma i concetti che esprimo fanno terra bruciata. In più non mi drogo e non ho alcun interesse in politica, ma non ho nemmeno la ferocia e l'aspetto per farmi apprezzare dai Metallari.

mercoledì 15 febbraio 2012

Biografia inessenziale


Non guardo Sanremo, non gioco a Skyrim, la palestra è chiusa. Ho tempo libero e autoreferenzialità. Eccovi i miei primi 7 anni di vita. 
Roba grossa, roba che scotta. 
Un giorno potrei pentirmene e cancellare tutto, quindi approfittare adesso. 
Intanto mi invento anche i 7 anni seguenti.

1977. Nasco settimino di 4,5 kg e per i successivi 3 anni non dormo mai. In compenso imparo a parlare troppo presto e cammino in un batter d'occhio: la famiglia crede di aver prodotto un genio.

1979. Nasce mio fratello. In preda a crisi di gelosia smetto di parlare e il Q.I. mi si abbassa drasticamente per non risalire più. I tentativi di uccidere il fratello falliscono tutti miseramente, mi rifugio nell'imparare a memoria i nomi degli animali: ne apprendo solo un paio, ma difficili (geco palmato e australopiteco), e così la gente mi crede intelligente.

1980. Asilo con le suore. Non ricordo nulla, solo qualche sberla e i pisolini pomeridiani obbligatori seduti sul banco. Alla recita di Natale interpreto una comparsa, l'anno dopo sono promosso ad angelo, al terzo anno spacco nella parte di Giuseppe. Imparo ad andare in bici pedalando sulla ghiaia e ancora mi chiedo come ho fatto.

1981. Mentre mi accingo a mangiare dei carciofi, cado dalla sedia e mi rompo una clavicola: non ho più mangiato carciofi, se non sotto tortura. Passo il tempo con i miei duecento cugini, più o meno coetanei: i miei zii facevano figli a profusione, credevano in un futuro di assistenzialismo e posto fisso.

1982. Da appartamento mignon a casa su due piani con giardino. Gioco in salotto e devasto un sacco di soprammobili, ricevo in cambio una valanga di sberle da una madre che non crede nel metodo Montessori. Sono particolarmente brutto e spettinato, i miei mi vestono male e non sono nemmeno simpaticissimo: faccio però un sacco di sport diversi, ricordo solo il nuoto perché forse era quello che mi riusciva meno peggio. Credo di aver rubato dei giocattoli a un altro bimbo... se stai leggendo, chiedo scusa.

1984. Vedo “Ghostbusters” al cinema e il mio futuro nel mondo del lavoro mi appare chiarissimo. Ogni tanto vado a messa, ma la famiglia rigorosamente laica non mi incentiva e quindi divento rapidamente una pecorella smarrita: chiuderò la pratica con una combo “confessione-comunione-cresima” per poi sparire dalla comunità cattolica.

domenica 5 febbraio 2012

L'EVENTO del mercoledì



Home, il Tempio del Rock Ribelle & Conformista di Treviso: i Welkin fanno un altro passo verso una direzione che conoscono solo loro.
Il mercoledì è una sera infame, se suoni e vuoi pubblico puoi sperare solo in due cose: 1. essere famoso, 2. avere tanti amici.
I Welkin hanno dimostrato senza ombra di dubbio di non avere quasi nessun fan, ma di essere pieni di amici. Locale quindi dignitosamente riempito, in barba ai pinguini e agli orsi polari che si aggirano nel parcheggio.
Per chi non li conoscesse, i Welkin sono il gruppo più educato di via Zermanese: suonano in sala prove da anni senza rompere le palle a nessuno (perché la sala prove è loro), suonano poco live così non danno fastidio e non obbligano gli amici a cancellare i tornei di ramino, hanno inciso un disco davvero valido ma non l'hanno promosso affatto per non pesare sulle tasche di parenti e conoscenti (adesso hanno quindi una riserva illimitata di sottobicchieri).
Musica? Stando alla loro definizione “Rock Melodic Metal”, un'escamotage per truffare i gestori dei locali che generalmente sentono “Metal” e dicono “Drogati!”, così loro puntano sulla melodia e vengono scambiati per i Pooh.
L'esibizione ha luogo su una piccionaia a qualche metro da terra, così la band può vedere chiaramente se fai solo finta di seguirli e quindi toglierti l'amicizia su Facebook. I ragazzi, con poco tempo a disposizione (perché il DJ ha fretta di imporre musica molto brutta, come da contratto), sciorinano le loro hit del passato, un bene prezioso di cui sono clamorosamente privi: recuperano proponendo qualche pezzo nuovo, carino, elegante, ben suonato. Da sempre privilegiano l'esecuzione rispetto alla presenza scenica, anche se a volte il solista fa sì con testa più o meno a tempo. Lo show finisce in men che non si dica, lasciando tempo agli amici di correre a casa a riempire la borsa dell'acqua calda. Resto dell'idea che le ballad siano un male non necessario in 45 minuti di concerto, ma evidentemente qualche pezzo alle fidanzate bisogna pur dedicarlo.
Per ora e senza dubbio, la migliore delle due band che ho visto suonare all'Home.