domenica 6 novembre 2011

STEEL FEST 2011: tutto ciò che non serve sapere




ATTENZIONE. O Metallaro fideista poco incline al senso dell'umorismo, sappi che le prossime righe prenderanno in giro i fans e le band dello Steel Fest 2011. Perché? Perché ci sono migliaia di blog e webzine che ti diranno come hanno suonato, quali sono le setlist, quanta birra si sono bevuti quelli che si sono fermanti all'ingresso (con biglietto ma senza entrare), ma nessuno ti dirà la Verità. Nemmeno io.

BATTLE RAM. Mai visti né sentiti. Credo che al momento del loro ingresso sul palco io fossi ancora impegnato con i fiocchi di latte 0.4% di grassi e 13g di proteine. Comunque non usano parrucche e son bravi ragazzi.

CRYSTAL VIPER. Iniziano lo show quando stiamo raccogliendo Enrico il Bestemmiatore a Terme Euganee. Nel tempo in cui essi completano un'esibizione a me ignota (e resa interessante solo dalla presenza di una commessa d'Intimissimi alla voce), Enrico ci fa presente che è riuscito a farsi “sbattezzare” e quindi, per la prima volta nella storia, ho ospitato in auto un individuo ufficialmente scomunicato dalla Santa Sede. Son soddisfazioni, a fare i Metallari.

PEGAZUS. Si parcheggia fuori dal locale mentre gli australiani danno il meglio di loro stessi (cioè poco). Volendo, ma proprio volendo, ce la faremmo a vedere la fine dello show, ma le priorità cambiano con gli anni: prima mangiare e bere, poi salutare le centinaia di casi umani (e spesso anche fenomeni antropologici) che stazionano all'esterno nutrendosi di birra e vinili, indi procurarsi biglietto (che son finiti i tempi degli ingressi coatti tramite fogne o buchi nel soffitto). Infine ingresso giusto in tempo per sentire: “Denghiuverimach Bolonnia, uillbe bec, uirr Peghesus from Ostrelia, gudbai”.

TARCHON FIST. Suonano HM classico alla pari delle altre band del festival, eseguono bene e hanno anche l'accento locale che fa tanto “km zero”. In più dedicano un pezzo ai caduti di El Alamein, cosa che sarà anche vista come pretenziosa nell'ambiente del Metallo, ma che denota una certa sensibilità. Un ubriacone afferma che questi ragazzi siano formidabili bevitori e basterebbe questo per sostenerli... cosa che faccio virtualmente, visto che durante il loro show stavo lottando per procacciarmi una maglietta del Festival (impresa ardua, perché i disadattati affollavano lo stand cercando di sbirciare nella scollatura delle fanciulle di Bologna Rock City).

PICTURE. Essendo il loro HM piatto come l'encefalogramma di certi studenti, possiamo passare direttamente alle questioni importanti. Il cantante ha la parrucca? Esistono birre olandesi esclusa la Heineken? Il solista è un immigrato? Perché suonare due pezzi nuovi brutti, sforando quindi di 10 minuti per suonare la loro hit (vabbè, ognuno ha quel che si merita) “Eternal Dark” e impedendo così, ore dopo, ai Virgin Steele di suonare “Twilight of the Gods”? Il mullet del batterista è troppo “USA white trash trombacugini” per poter essere vero? Perché il ritmico ha 22 anni, il look alla P.O.D. e i pantaloni bracaloni di Krusty? Ad maiora.

SKANNERS. Nel campo del Metallo Tradizionale (genere che resta immutato dall'età di Sargon a oggi) sono i trionfatori della serata, perché sanno come stare sul palco e suonano da paura. Hanno anche qualche pezzo ruffiano il giustissimo, anche se preferiscono il repertorio “duro & puro” per far contenti tutti i calvi/stempiati/parruccati/stupratori tra il pubblico. Li ringrazio anche perché tutti erano ipnotizzati dalla loro esibizione e io me ne sono potuto andare silente come un ninja per fare pubbliche relazioni. In ultima analisi, una band a prova di parrucca.

ANGEL WITCH. I menagrami satanassi della serata ripropongono la setlist classica che li accompagna dal vivo sin dal tour del 1347-1349 (anni in cui furono i principali diffusori della peste). L'unico membro originiale, Kevin Heybourne, è piuttosto svogliato, ma fa il suo lavoro come da contratto e, come ne “Il giorno della marmotta”, ci presenta la solita prestazione con le solite canzoni, dimostrandosi sostenitore accanito della circolarità del tempo. Gli altri sono entrati solo nel 1630, poco prima del tour per diffondere la peste nel Ducato di Milano, spingono un po' di più, ma è perché sono dei giovani 40enni e hanno la freschezza dalla loro parte.

PRAYING MANTIS. A mio modesto avviso, la migliore band del Festival. E il fatto che sia più Hard Rock che Heavy Metal vorrà dire qualcosa... oppure non vuol dire niente e le categorie servono solo a creare confusione, a scatenare contenzionsi e ad arricchire gli avvocati. Sta di fatto che questi inglesi brutti brutti da vedere (o son grassi o sembrano malati) hanno una classe innata e potrebbero incantare anche suonando al bar (cosa che non escluda facciano abitualmente). Comunque, cori da brividi per delle emozioni che mi hanno fatto dimenticare la variegata umanità intorno a me... un plauso solo per questo.

VIRGIN STEELE. Hanno scritto talmente tanti capolavori che, anche facendo scegliere la scaletta a Valentino Rossi, una mezz'ora di eroismo salterebbe fuori comunque. Il loro problema è che non sono una band, Defeis si è attorniato da yes-men che eseguono gli ordini senza fiatare e questa assenza di confronto ha prodotto i recenti album-schifezza. Anche dal vivo si nota che la classe non è acqua, ma che manca qualcosa per poter dire “Ecco dei Titani del Metal”... lo erano nel 1987, lo erano nel 1998, non lo sono ora. E allora cosa ci resta? Una scaletta di pezzi da cadere in ginocchio in segno di rispetto, una resa sonora altalenante, i vocalizzi operistici di Defeis (che non invecchia d'aspetto ma di voce sì), un drumming che avrebbe fatto sembrare la buonanima di Scott Columbus il nuovo Neil Peart, le facce da minus habens di Pursino (ormai la clonazione di Mork). Oggi come oggi i Virgin Steele sono grandi, non grandissimi. Contenti loro...

Il momento “Settimana della moda bolognese”. La maglia più clamorosa è stata quella del tour fine anni '80 dei Bonfire, indossata da una leggiadra donzella con classe ed eleganza. Ovvio che, per giungere a questo risultato, è stato necessario attivare tutto il settore-sartoria dello IUAV Design della Moda: l'indumento era in origine il classico “contenitore di panza tedesca XXL” (utilissimo per coprire l'auto durante gli uragani), ma l'indefesso lavoro dello IUAV e di decine di cottimanti indocinesi ha customizzato il prodotto rendendolo indossabile da donne locali. Un grandissimo risultato per il Made in Italy, un altro chiodo sulla tomba della globalizzazione. CHEERZ.

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