martedì 24 gennaio 2012

E trovo anche il tempo di andare in Romania...



ROYAL RUMBLE
Voodoo Child Pub, Nebbia e campi (VE)

WAYLANDER (superultratrentenne bamboccione ancora fermo alle superiori)
È arrivato il bonifico dei Royal Rumble (12 euro, “sconto disperazione”) e quindi, ligio ai consigli del mio avvocato, produco recensione esaltante, come previsto nel contratto. Locale gremito all'inverosimile di varia gioventù, fisicamente male in arnese, ma splendidamente padana. Tutti in attesa dei Wild Pipes (band hard rock che abita nello scantinato del pub), ma i Royal Rumble si appropriano del pubblico altrui e sciorinano una decina di pezzi al fulmicotone. Lo show si apre con una cascata di guitar-solos che proseguirà fino a svenimento dei chitarristi per denutrizione, seguono riff spaziali con cui la band scolpisce dei veri e propri blocchi di granitico Hard Rock. Le lunghe chiome del cantante e del batterista sono la risposta a chi li accusa di essere una band di impiegati della Miralanza, qui l'unica chimica è quella degli smanettoni e del bassista che vorrebbe smanettare un sacco anche lui ma, si sa, il basso nel Rock non si sente e va bene così. Suonano tutte e due le lor super-hit e anche una serie di nuovi pezzi tra il brillante e lo scalpitante, il tutto gestito con sapienza dalla voce alcolica di Bruseghin, che evidentemente quando suona a 30 metri da casa dà sempre qualcosa in più. Alla fine del concerto arriva l'altra band, ma sono già perduto nelle nebbie.

PLINIO (chief editor presso “Dissonanze e Design”). 
Un locale che nel 2012 ha un arredamento che esclude del tutto bianco e acciaio dovrebbe essere raso al suolo a colpi di supponenza. Non discutiamo poi degli avventori, una mandria di boscaioli i cui grugniti in dialetto locale fanno intuire che il Nordest non è in grado di sostenere l'integrazione nemmeno tra paesi limitrofi. Le band che si esibiscono rubano riff e solos da ogni act che abbia strimpellato tra il 1978 e i 1986, con un'immagine pesantemente fuori sincrono. La prima band, che il cantante chiama Roiarambo, perde più tempo a ciarlare nei microfoni che a suonare, poi i chitarristi se ne vanno a spasso per il locale perché probabilmente gli altri 3 del gruppo gli stanno antipatici. La seconda band era uguale alla prima, ma meglio vestita. Lo stetotipo della birra, le camicie a scacchi come nel 1993, la nebbia da Carpazi: ecco dove è finito il rock. Lasciamolo là.

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