giovedì 25 luglio 2013

Bang Your Head 2013, day 2: The Hangover Diaries




13 Luglio 2013

REBELLIOUS SPIRIT.
Colorati e chiassosi, più vicini alla terza media che alla terza superiore. Il look glam si scontra con partiture da Melodic Metal renano, quello con batterista-Duracell e i riff granitici che ogni tedesco canticchia già nell'utero. Pubblico diviso in due: cugini coetanei con magliette della band e parenti adulti con magliette della band, in pratica è il pranzo natalizio della famiglia Fritz. Tra un urletto e l'altro il cantante (doti trascurabili) getta l'occhio speranzoso verso le groupies, solo per incontrare il grugno severo delle zie (che poi si sono concesse a un altro gruppo, ma chi siamo noi per fare gossip?).

ALPHA TIGER.
Sorprendenti. E non solo per le strisce di tigre che schiaffano un po' ovunque, dalle braghe alla batteria fino allo striscione. L'Heavy Metal dei primi Queensryche, cantato come gli Dei del Metal esigono, suonato con rispetto e ardore tramite una manciata di canzoni semplicemente “belle”. Se l'Heavy Metal è riproposizione ad infinitum di un'immagine, un suono, un'attitudine, allora gli AT sono Heavy Metal.
Esercizio di stile, volevo scrivere qualcosa di commovente e gli AT sono stati fortunati ad avermi colto in una modalità così eroica. Per un uso corretto, sostituire “Alpha Tiger” col nome della vostra Heavy Metal Band preferita.

HELL.
Un'altra bomba del festival. Gli Hell hanno il più intrigante, carismatico e inusuale cantante della due giorni. Che David Bower venga dal teatro e dal musical si vede subito da come prende possesso del palco e ti fa dimenticare tutto il resto: solo lui a dominare declamando le litanie dei suoi bruttissimi band-mates. Bruttissimi almeno 3 su 5, ma la palma per il peggiore va al bassista: Jabba the Hutt vestito da Dracula, stempiato a 180° e con i capelli più zozzi dell'emisfero. Grazie comunque a un fenomeno assoluto come Bower (quando fa l'attore si chiama David Beckford: fa bene a tenere le distanze da quei brutti ceffi che gli suonano attorno, roba da meritarsi le persecuzioni della Buoncostume), gli Hell li rivedrei dal vivo anche subito e a David gli firmo anche un autografo. Agli altri no, che magari vogliono anche la foto e mi vergogno a farmi vedere vicino a certa gente.

ANGEL WITCH.
Ma che diamine! Lo stand finto greco serve un gyros piccante con salsa all'aglio e crauti! Scusate Angel Witch, devo provare esperienze nuove e voi ve la cavate bene anche senza di me (del resto suonate da 30 anni le stesse canzoni, sempre benissimo e con un pubblico roboante). Voto 8 al piatto, gustoso all'ingresso ed elaborato all'uscita. Voto 6 politico agli AW, come nel '68 quando c'era maretta e loro già suonavano le solite canzoni.

MORGANA LEFAY.
“Perché nessuno ha capito che i Morgana Lefay sono dei fighi?”. È il cruccio del bassista quando lo incontro allo stand del merchandising mentre cerca di regalare poster della sua band. Il povero svedese è ubriaco perso e, come tutti gli sbronzi, logorroico: l'idioma anglo-svedese con reflussi di vodka non è stato facile da decifrare. Sostenendo con argomentazioni inoppugnabili che l'Italia è in Austria, mi invita al suo prossimo concerto a un festival di cui non si ricorda né il nome né il luogo. Poi vuole fare una foto con me e con un sorriso ebete mi strangola cercando di soffocarmi con le alitate. Gli prometto di essere in prima fila al suo prossimo show e lo abbandono là allo stand con le sue infradito e lo sguardo sperduto alla ricerca della sua band (che probabilmente è già ripartita per la Svezia e si è liberata del peso intellettuale di un simile elemento). A proposito, gran bel concerto.

SANCTUARY.
Rimando la sperimentazione gastronomica perché sul palco arrivano cinque capelloni che un milione di anni fa hanno inciso due album spettacolari (a me piace di più il primo, gli intellettuali celebrano il secondo, la verità non esiste). Show impeccabile, anche se il cantante Warrel Dane cerca di non esagerare con gli acuti perché è sarebbe impossibile rimanere a livello del primo disco. Show revival da manuale: tutti i pezzi migliori eseguiti, performance eccellente, Dane sobrio (!), momenti di tensione quando il pubblico brillo canta i ritornelli in tonalità da ultrasuoni e in centinaia perdono la voce alla prima nota. Potrei essere più entusiasta, ma incredibilmente ho la pancia vuota e ogni gioia passa in secondo piano...

RAGE.
Dopo averli visti una decina di volte, ormai sono la classica band da pausa birra. Assoli a pallettone, potenza a profusione, ma io dovevo procurarmi wurstel e polpette gratis, quindi zero attenzione per loro.

THUNDER.
Altra sorpresa del festival, accidenti a questi inglesi! Su disco non mi hanno mai detto niente e il look on stage fa presagire un'ora abbondante di dramma blueseggiante da pub: chitarristi in hawaiana, bassista da settore terziario, batterista vecchio vecchio vecchio e cantante con taglio corto e chioma bianca altoborghese (stile “trasferimento a Minorca nei mesi invernali”). Invece piazzano una delle migliori voci in giro, carica inarrestabile e pezzi che impongono sculettamenti e testosterone. Niente di nuovo, niente di strano: perfetto per il pubblico locale. Partecipazione assoluto e perfino io, che avevo previsto la fuga enogastronomica dopo una canzone, mi sono goduto tutto lo show insieme a migliaia di calvi in visibilio.

AT THE GATES.
Ho visto dal vivo gli ATG: per me la più importante band di death metal svedese e, poche storie, ormai sono dei mercenari professionalissimi. Sacheggiano il capolavoro “Slaughter of the Soul”, suonano precisi come un team di chirurghi vascolari, lo show è tutto nelle mani del frontman Tompa (che ormai ha fermato il tempo, essendo uguale agli anni '90, quando peraltro faceva già schifo esteticamente). La band distrugge tutto per un'ora circa, poi via a bere perché sono svedesi e se non bevono alcol muoiono. Vivere dalla prima fila l'esecuzione di “Under a Serpent Sun” è uno degli highlight personali del festival. Insieme alle polpette gratis.

RAVEN.
Già visti, dedico solo rapido passaggio per conferma che sono ancora vivi e splendidamente zuzzurelloni.

ICED EARTH.
La band che più s'è incasinata la carriera negli ultimi 10 anni. Aveva tutto per diventare enorme, ha perso quasi tutto e adesso sta ricostruendo, appoggiata da uno stuolo di fans (soprattutto tedeschi) che non mollano mai, qualunque cosa succeda. Certo, avessero anche fatto album belli ultimamente, anche io li supporterei senza indugio. Eccoli che irrompono sul palco vestiti da Metallari in jeans&leather e infilano quasi tutte quelle canzoni giuste. Il nuovo cantante Stu Block ha la voce per reggere il paragone con il fenomenale Matt Barlow e risulta molto più azzeccato di Tim Owens (che strilla come un'aquila, ma sui registri bassi non rende come richiesto), gli altri sono inattaccabili e la partecipazione della gente migliora il giudizio. Ma una band che riesce a piazzare 3-4 power ballad in un festival senza risultare stucchevole dove la troviamo? Irruenti, schiacciasassi, prepotenti, yankee fino al midollo.

EXUMER.
Il thrash ignorantissimo degli Exumer attira un parterre di disadattati impresentabili che preferiscono rinchiudersi nella struttura coperta, così da continuare a bere al buio e puzzare in piena libertà senza che l'odore si disperda. Per questo riesco a seguire solo un paio di pezzi della band, che musicalmente è in palla e motivata... sarà che i novantenni strumentisti hanno preso il Polase con la birra e la reazione chimica è furibonda. Cantante supermuscolo con movenze scimmiesche abbastanza minaccioso da scoraggiare lo scontro fisico e sufficientemente sudato da impedire l'avvicinamento. A meno che tu non sia sbronzo.

ACCEPT.
Valgono le stesse cose dette sui Saxon il giorno precedente. Con la differenza di un orgoglio nazionalista ovviamente superiore, un tasso alcolico smodato e la tendenza degli alemanni a riunirsi in gruppetti e fare air guitar con mosse sincronizzate. Se sul palco lo show è da 8, tra il pubblico è 10.

CREMATORY.
Sono sotto il palco solo di verificare quanto grasso è il cantante Felix. È sferico. E ormai sta diventando calvo, anche se si ostina a portare i capelli lunghi (effetto “pista d'atterraggio”). Iniziare poi il concerto indoor con canotta, camicia e gilet in pelle lo trasforma in una palla sudata dopo le prime due note. Resta in canotta e schizza sudore sulle prime file senza pietà. Il batterista è altrettando panzone, ma almeno è lontano e suda in isolamento, la tastierista ha una camicia da notte e non credo che suoni effettivamente (ogni tanto pigia bottoni e partono loop e basi). Tutto qui, mi resta il tempo per guardarmi intorno e il pavimento è disseminato di ubriachi svenuti nelle posizioni più fantasiose (ci deve essere un concorso in atto).

Ricordiamocelo così, il Bang Your Head 2013: una festa ininterrotta tra membri della stessa famiglia, con tutto quello che le famiglie numerose si portano dietro... i fratelli lazzaroni, i cugini caciarosi, gli zii ubriaconi, i nonni lamentosi... ma è pur sempre famiglia.

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