FRONTIERS ROCK FESTIVAL 4
29 aprile 2017
Live Music Club - Trezzo
sull'Adda (MI)
“Non esistono fatti,
solo interpretazioni” (F. Nietzsche).
In musica l'oggettività
è un parametro inapplicabile, lo spettatore medio vede ciò
che vuole vedere e sente ciò che vuole sentire: la valutazione sugli
show delle band preferite è sancita a priori, nel senso che una band
che ti piace e di cui conosci il repertorio te la godi di più di una
sconosciuta o non apprezzata.
I Caius fanno un
concerto impalati sul palco perché se la fanno sotto? Il fan parlerà
di grande perizia esecutiva, musica messa al primo posto, solo
sostanza, sofisticati. I Tizius fanno una caciara orrenda strafatti
di chissà cosa? Grande attitudine rock, un grande vaffanculo al
sistema, loro possono perché sono rockstar.
Di conseguenza, ecco la
recensione del mio Frontiers Festival. Impressioni, opinioni,
interpretazioni, un solido tributo alla moderna post-verità.
E adesso via con la
recensione “0% musica”.
PALACE
Non ce la fanno, i
Palace. Avrebbero pure qualche canzone di maniera giusta giusta per
scaldare il Festival, ma Michael Palace del cantate ha solo i capelli
cotonati, per il resto viaggia tra l'insufficiente e il disperato.
Ora come ora Palace è un pessimo Meniketti, tra qualche anno
potrebbe essere un sufficiente David Hasselhoff. Dicono sia
particolarmente attivo nei confronti del gentil sesso, voglio sperare
che almeno abbia dato tutto in quel senso. Salverei la sezione
ritmica e le basi.
ONE DESIRE
Il cantante è uguale a
un noto taccheggiatore delle mie zone e l'unico dall'aspetto finnico
mi pare il bassista: a parte queste notazioni etniche, la band
convince. Tra melodie ariose e ritornelli ruffiani e non banali, ci
metto mezz'ora ad accorgermi che nascosto in un angolo c'è pure un
tastierista e che si sta facendo il mazzo tra suonare, fare i cori e
passare inosservato. Bravi ragazzi, di certo non si chiuderanno nei
bagni con le signorine (come hanno fatto qualche edizione fa i Crazy
Lixx, impedendomi di espletare fondamentali funzioni).
CRAZY LIXX
La dinamica è la
seguente. I CL partono da Stoccolma convinti che il festival sia
frequentato da maschi adulti calvi disperati; arrivano al locale e si
trovano in mezzo a un gineceo, dolci donzelle sexy e provocanti con
scollature e tacchi da privé; capiscono che i gruppi grossi hanno
l'età totale di tre cifre e intuiscono che i giovani (Palace, One
Desire) non hanno l'occhio della tigre, mentre gli Eclipse sono
bruttissimi e ciao; i CL sono quindi come dei bracconieri in uno zoo.
Eccoli allora sul palco tirati a lucido, zero chiacchiere e via di
refrain in refrain fino all'inevitabile trionfo. Ma se hanno i pezzi
clamorosi, il look, l'impatto e l'attitudine, cosa manca ai CL per
essere headliner? A questo punto penso che l'unica sia cambiare
cantante e prendere un modello svedese biondo da far cantare in
playback. Magari così ce la facciamo (non fosse che il cantante
Danny scrive i pezzi, produce, fa l'artwork e lava i panni).
Vita vissuta pt.1. Il cantante dei Crazy Lixx, causa occhi piccoli e
vicinissimi, pare sempre tristissimo, infatti la band lo scarica a
fare le interviste mentre gli altri cercano di copulare. Al Frontiers
lo schema non cambia, ma stavolta nella tristezza gli fa compagnia il
mastodontico batterista, che soffre tanto perché non suona coi Tool
e probabilmente tiene anche famiglia (oltre a polpacci da
powerlifter). Il nuovo chitarrista Chrisse invece si gode le
attenzioni del pubblico, roba a cui non era abituato dopo anni
passati a suonare con gli scalcinatissimi Dirty Passion: il passo
felpato sfoggiato a inizio sera rivela però che il nostro ha
preferito l'opzione alcol.
ECLIPSE
Sono solo in 4, ma hanno
il sound saturo come un caco a fine stagione, perché gli Eclipse
suonano con le basi migliori di tutti. Erik Martensson è ormai un
personaggio amatissimo, non solo per la bravura, ma anche perché ha
la fronte altissima, le orecchie a sventola e dimostra 23 anni dal
1999: sposato, non bello, molto tranquillo, il buon Erik non
rappresenta una minaccia per le altre rockstar in cerca di amore né
per il pubblico pagante alla ricerca della stessa cosa, quindi gode
di un appoggio praticamente totale. Il bassista stupisce per come
assomigli a Kee Marchello preso male (e già Kee Marchello di suo non
è proprio l'emblema della sobrietà). Sorpresona il duello con
Michele Luppi, elegante con la sua gomma da masticare che lo fa
sembrare strafatto di MDMA: alla fine Martensson deve pure pregarlo
per fare un acuto. Band comunque di livello, con molta gente venuta
al festival apposta per loro e di meglio non si può dire. Speriamo
che la vena compositiva di Martensson resista, visto che la Frontiers
lo sta facendo lavorare come un minatore durante lo stalinismo.
REVOLUTION SAINTS
Progetto da studio, ma
gestito da artisti con un pedigree da paura, i RS fanno il primo show
della loro storia. Essendo americani, è bastato dir loro che si
stava registrando il DVD per scatenare l'essenza da rockstar che ogni
musicista yankee si porta nel DNA. Due parole in più sui nostri
eroi:
- Jack Blades va amato senza condizioni, dà sempre l'impressione di essere lo zio che ti compra la birra di nascosto e ti spiega cos'è il Rock
- Deen Castronovo si diverte come un bambino e se la gode al 100%, neanche fosse uscito di galera (in effetti, è veramente uscito di galera da poco)
- Doug Aldrich è Doug Aldrich: siano i Whitesnake, i Burning Rain, i Dead Daisies o i Revolution Saints (o i Lion, giusto per fare sfoggio inutile di cultura musicale), lui è sempre vestito uguale e suona sempre uguale. La coerenza fatta a persona
Coordina tutto il nostro
Ale Delvecchio, il cui secondo nome è Professionalità. Con queste
premesse e una serie di cover doverose e strepitose, i vecchiardi portano a casa il risultato e possono dedicarsi a tenere lontano
Castronovo da tutto ciò che potrebbe rispedirlo in galera.
Vita vissuta pt.2.
Sono stato pigro, supponente e superficiale nell'osservare le band:
del resto ci ho messo un pezzo a digerire l'aragosta offerta da
Notturno Metal e lo champagne che ho rubato dal catering degli
Steelheart. Noto che non ci sono casi di ubriachezza molesta, il filo
conduttore del festival è l'assoluta educazione, che ben si sposa
con l'attitudine da borghese placido e arrivato dell'ascoltatore di
AOR.
Scena da ricordare:
due noti appassionati di Seventies che, pur circondati da una
quantità di donne che nella loro vita avranno visto solo in locali
sconci, ignorano il tutto perché
presi da una discussione sull'Hammond. Siete fantastici, gente, ma
fosse per voi come genere umano ci saremmo già estinti: per fortuna
ci sono i Crazy Lixx.
TYKETTO
Non sono una delle mie
band preferite, i primi due album li ascolto ogni 5 anni e il resto lo ignoro. Non mi aspettavo nulla, invece riescono a fare lo show della
vita. Sarà il fattore DVD, sarà che non gli capiterà mai più di
suonare in simili condizioni, comunque la band è tirata a lucido e
Danny Vaughan (uno spot vivente alla chirurgia estetica) canta
splendidamente. Poi c'è da dire che l'hit generazionale “Forever
Young”, urlata da una platea di padri di famiglia e rappresentanti
del ceto medio, fa sempre sensazione. Immagino che anche il bassista
90enne dei Tyketto si senta chiamato in causa. Gran bella
soddisfazione, poi brodino e tutti a letto.
Vita vissuta pt.3.
La band più presente tra il pubblico sono gli Adrenaline Rush, che
tanto suonano domani e quindi possono farsi la scampagnata. Il
problema è che sono noti per l'avvenenza della loro cantante (che è
sempre disponibile a farsi foto con qualunque guardone presente al
locale), quindi gli altri non li riconosce nessuno, a parte qualche
fanatico terminale. Abili nel vagabondaggio, appena decenti
nell'approccio col gentil sesso, brillanti nell'ingestione di alcol,
i ragazzi diventano un punto di riferimento sul manto erboso fuori
dal Live Club e attirano l'attenzione della gente, finché Michael
Palace decide di unirsi a loro e tutti scappano.
STEELHEART
Gli Steelheart del primo
disco erano una cosa, nel secondo erano già cambiati e il terzo (a
detta di quei 5 che l'hanno comprato) era altro ancora. Poi una pausa
di 20 anni ed eccoli saltare fuori con line-up nuova, resta solo il
prodigioso cantante Mike Matijevic. Al basso hanno Rev Jones dei Black Symphony,
un animale fuori controllo e fuori contesto (per i curiosi c'è
sempre Youtube). Il chitarrista non so chi sia, ma deve aver fatto un
frontale con un camion di cabernet, perché sfoggia espressioni che
fanno molto bar della bocciofila. Batterista giusto al millimetro.
Poi c'è Matijevic, che irrompe suo palco agghindato come un boss
della mala balcanica e sfoggia un'antipatia sorprendente (prima frase
al pubblico: “Ho voglia di cantare, non di parlare con voi”, vabbè che ti pagano per cantare...), ma
ha ancora una voce irruenta e ipnotica. Sommiamo però una selezione
iniziale di pezzi che mi dicono poco (non sono un fan degli
Steelheart), una prestazione impeccabile ma che mi lascia
indifferente, la stanchezza della (mia) terza età e quindi me ne
vado a metà setlist, lasciando che siano altri a stilare le
classifiche dei buoni e dei cattivi.
Vita vissuta pt.4.
Proprio uscendo dal locale mi ritrovo nel parcheggio un Vero Rocker
che vomita l'anima e commenta in romagnolo la sua prestazione. Il
disagio s'è fatto attendere, ma alla fine ha vinto, stravinto e
dominato.
2 commenti:
Divertentissimo come sempre .
Grazie mille!
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