giovedì 9 luglio 2020

Esami di Stato 1348 - pt. 2... Li Protocolli pello morbo



“I Protocolli” giungono dall’alto, come il giudizio divino. Non portano salvezza, ma dannazione. In compenso distribuiscono equamente le responsabilità di eventuali contagi, di modo che il Ministro possa scaricare la colpa sui presidi, che la possono attribuire ai commissari, che con qualche difficoltà possono passarla ai candidati, i quali però possono salvarsi dandola ai migranti. 

La parola d’ordine è “distanziamento”. E niente contatto. Non che agli esami precedenti si ballasse il tango leccandosi reciprocamente gli avambracci (o forse un paio di volte sarà anche accaduto, ma non c’ero e se c’ero dormivo), tuttavia stavolta bisogna stare distanti. E mascherati. E distanti. Quindi non puoi prendere a schiaffi lo studente che celebra il trionfo del Giappone nella Seconda Guerra Mondiale. 
I Protocolli stabiliscono anche che lo studente segua un percorso preciso per arrivare fino all’aula e poi andarsene, meglio se solo. Perché nasci solo e muori solo, quindi devi abituarti (non lo dico io, lo dice l’ordinanza). Al limite può portarsi un familiare, uno solo, mascherato e zitto, che sennò ci mette tutti a rischio.
Sono finiti (per quest’anno) i tempi della tonnara seduta in fondo all’aula, tra parenti e amici che assistono all’esame farfugliato e poi all’uscita esclamano “Che bravo che sei stato, è andata benissimo”, mentendo e sapendo di mentire. Almeno qualche anno fa l’amico hippie del candidato si addormentò placidamente (si perse purtroppo un “Carducci fascista” che fece storia) e venne svegliato da uno dei commissari che, con grande tatto, fece un applauso alla fine del colloquio: l‘hippie si svegliò e uscì, ma il candidato fraintese credendo di aver condotto l’esame della vita e, constatato poi il meraviglioso voto di 62/100, chiese l’accesso agli atti.

I Protocolli prevedono anche che gli studenti seguano un preciso percorso per entrare in aula e uscire: non lo sanno, ma un buon 60% del voto si gioca sul fatto che capiscano le istruzioni d’ingresso e uscita. Quindi, se sei entrato dalla finestra e hai baciato i commissari, capisci adesso perché al tuo voto finale manca uno zero. E quindi anche un diploma.

Altra sfida è il distanziamento tra i docenti. L’ordinanza nazionale A38 indica un metro, l’ordinanza regionale 38A indica 1.5 metri, la nota all’ordinanza nazionale A38 ripristina il metro e la bolla papale provinciale stabilisce definitivamente 2 metri. Si risolve con banchetti sparsi per l’aula, su cui ogni commissario dissemina provviste, libri di testo, i programmi svolti perché figurati se mi ricordo tutto quello che ho fatto durante l’anno (a parte gli esempi coi canguri, animali che si prestano benissimo a spiegare Filosofia perché nessun canguro capisce Wittgenstein, proprio come me). E reliquie di santi per proteggersi dalla pestilenza. 

Mascherina sempre e comunque, anche quando ti chiudi da solo in bagno a piangere perché finalmente uno studente ha indicato correttamente Jalta sulla cartina. Va da sé che tenere la mascherina per mediamente 6-7 ore non garantisce proprio il massimo della concentrazione, soprattutto se il candidato sta parlando del ciclo di Krebs. Personalmente ho molto apprezzato, comunque, le visioni che sperimentavo verso la terza ora di aerosol all’anidride carbonica: generalmente si trattava di un animale-guida che mi rimproverava per non aver studiato Medicina e aver fatto i soldi.

I Protocolli sanciscono anche che ogni mattina ci si alzi, ci si misuri la febbre e si compili l’autocertificazione dichiarando di non avere la febbre. Ci si assume dunque la responsabilità di fronte alla Legge, la quale però in questo frangente mi sembra molto più astratta del mio animale-guida, che dopo 3 ore arriva sempre a trovarmi per la reprimenda e ha una concretezza espositiva che la Legge se la sogna. Quindi diciamo che mi assumo la responsabilità di fronte agli Spiriti della Natura e ne risponderò all’atto della prossima incarnazione, la quale, in caso di comportamento disdicevole, dovrebbe prevedere un’esperienza come scarabeo stercorario.

Tra un candidato e l’altro c’è poi la sanificazione dell’aula. Il personale della scuola ci caccia fuori, pulisce, accende un falò sulla cattedra bruciando erbe aromatiche (fondamentali per affrontare il contagio di peste nella Milano del 1630… mortalità al 74%, per i curiosi) e poi tutti assieme si prega la Madonna del Colera (che evidentemente appare ai miei colleghi commissari al posto dell’animale-guida).

Il candidato comunque sta in cattedra, protetto da uno schermo di plexiglas che a fine giornata è immacolato, non tanto perché venga pulito ogni volta, quanto perché la salivazione degli studenti durante l’esame è zero e ogni sorso d’acqua viene immediatamente tramutato in sudore. Ecco, le pozzanghere di sudore sono traditrici, ma col tempo impari ad evitarle.

Infine, gli istituti sfoggiano dispenser di gel sanificante a buon mercato, quello che devi sfregare per un quarto d’ora e si tramuta in piccolissime palline di gomma che poi spalmi elegantemente sui pantaloni. I pantaloni, a dirla tutta, sono le vere vittime di questi esami: necessario lavaggio a fine giornata, con emergenza per i poveri docenti che, possedendone solo due paia, devono correre all’Oviesse a comprarne di nuovi per non rischiare di chiudere gli esami in bermuda.


Restate in attesa, potrebbe anche peggiorare…

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