venerdì 17 luglio 2015

Troppo caldo per inventare un titolo accattivante


CRAZY LIXX
Ferrock Festival – Vicenza
16 luglio 2015

La proletaria Vicenza organizza festival gratuito in parco cittadino nel mezzo di quartiere popolare. Roba da caduta del muro di Berlino. Viste le premesse, ti aspetti ci suonino i Nomadi o qualche sventura reggae, cosa che in effetti accadrà nel fine settimana, ma l'ambìto (per modo di dire) slot del mercoledì è affidato all'Hard Rock, perché il Rocker se ne frega della settimana lavorativa e va ai concerti a prescindere: basta che siano birra, qualche donna discinta e un bancone su cui appoggiare il gomito per imprecare contro l'Universo.
Ho fatto l'esame che mi permetterà di evitare la deportazione per qualche anno, ho festeggiato in modo poco consono alla mia età e quindi mi sono perso nelle campagne venete. Finisco per designare in una taverna in stile Terzo Reich arredata con cane che fa salti di tre metri e risolve problemi logici più velocemente di molti umani, poi di colpo mi ritrovo a barcollare per il quartiere popolare di Vicenza in splendido ritardo e con un peso-forma in glorioso aumento dopo le libagioni. Evitate le gang da “Guerrieri della notte” che si annidano nei vicoletti, arrivo al festival proprio mentre iniziano gli svedesi Crazy Lixx.
La band, celebre perché fa dischi fighi e viaggia a cachet da discount (gira voce che con un migliaio di euro ti facciano lo show di 3 ore al matrimonio), ha da sempre un seguito minimo rispetto agli svedesoni che rimorchiano di brutto in Italia (es., Hardcore Superstar) e la causa è SICURAMENTE (occhio, siamo al 14% di verità) da imputare a due fattori:
  1. cantante brutto e in fase di calvizie (ma non puoi farlo fuori, visto che scrive lui tutti i pezzi), oltre che con una circonferenza di coscia sproporzionata rispetto al resto della band;
  2. batterista da 110 kg minimo, fenomenale ma più adatto a suonare coi Dismember.
Per il resto, hanno il bassista-bagnino minorenne a uso delle coetanee, mentre il solista ha la classe e il look per soddisfare donne più mature. Il ritmico altri non è che lo sciagurato albino dei Bai Bang, che in mezzo a musicisti normali dimostra di non essere un disgraziato come invece aveva fatto credere negli show con la sua band principale.
I CL suonano parecchi pezzi fenomenali e anche un paio di schifezze che fanno contenti solo loro. Il cantante inizia che sembra il Ted Poley dell'epoca in cui la gente sapeva chi fosse Ted Poley, poi a metà show di colpo perde tutta la voce senza una spiegazione plausibile (a meno che il fonico non abbia avuto un ictus). Il resto della band vagabonda per il palco puntando sulla fisicità e sull'impatto, anche se sembra che ognuno faccia uno spettacolo a sé e risultano poco legati. Il solista, che ricorderemo soprattutto per le pose da guitar-hero e il cappello a falde larghe amish-style, rompe una corda e il suono non cambia per niente, al che ti viene il sospetto che il fonico non si riprenderà più dall'ictus.
Poi il tutto finisce di colpo per sfinimento. È mezzanotte, ci sono 30 gradi ed è umido come in una sauna. La band, se escludiamo cantante e batterista, è visibilmente denutrita, sfibrata da una dieta di carote e aringhe: hanno tutti le gambette secche di gente che prende solo l'ascensore, non possono reggere la calura della Pianura Padana e la potenza dei veneti tirati su a rosso, soppressa e spalate di letame. Gli svedesi se ne vanno dopo uno show ottimo, con più luci che ombre e comunque penso che 2-3 donnine le abbiano anche racimolate.

Pollice alto e via nella notte.

giovedì 16 luglio 2015

L'Estate dell'Amore e l'Agricoltura Friulana


BRUDSTOCK
4 luglio 2015
Vigonovo di Fontanafredda (PN)

Non vorrei parlar di musica, ma tanto alla fine due righe scappano sempre.
Cominciamo dalla basi: Brudstock è un festival anni '60-'70, ispirato palesemente a Woodstock. Poi ti guardi in giro e sei in un agriturismo-vivaio di trote, con un'umidità paludosa e zanzare carnivore (sarà per tenerle lontane che tutti accendevano incensi e strane pipe?). Non so come fosse Woodstock, probabilmente neanche chi c'è stato saprebbe spiegarlo a causa delle varie esperienze di espansione mentale che si vivevano a fine anni '60, comunque lo spirito mi è parso quello: musica, serenità, poca voglia di rogne che già ce ne sono troppe, un generico amore universale, bonghi (sia musicali che non), uno spirito del passato che guarda al presente con un piede nel futuro (qui si sentono i residui del fumo passivo).
La strada di avvicinamento al festival è un sentiero in mezzo ai campi, che riconcilia con lo spirito agreste di questa terra considerata Veneto dai friulani e paese balcanico dai Veneti.
La vasta e variegata umanità, quella sì, è degna della Summer of Love. Certo, alcuni meritano l'amore più di altri (io non sarei molto propenso a donare il mio amore agli avventori maschili, ma qualche esagitato la pensa diversamente), eppure alla fine ci si vuole tutti bene come se vivessimo in mondo senza testosterone. Essendoci un disastro di persone e una illuminazione da zona industriale, mi sono dovuto andare a cercare i fenomeni da baraccone con la pila da guardaspiaggia, ma alla fine sono stato premiato. In realtà non serviva neanche fare strada: moltissimi si sono occultati sotto una tenda beduina a fumare il narghilè e a bere una roba bollente verde (che doveva per forza essere allucinogena, sennò non si spiega perché la bevessero tutti nonostante i 37 gradi e l'effetto sauna che ha colpito tutto il Nordest). Alcuni si sono buttati per terra a caso, li calpesti e loro ti vogliono bene lo stesso. Poi c'è chi crede di essere alla Festa dell'Unità, chi a Ibiza, chi voleva pescare e s'è trovato il vivaio pieno di gentaglia...
In pieno stile anni '60-'70, il campeggio è organizzato a caso. Arrivi; butti per terra una tenda o, visto il caldo, anche solo uno zerbino; bevi una birra; bevi un Tavernello; mangi un tortino dall'odore sospetto; bevi un'altra birra; ti passano una sigaretta che odora come il tortino → avanti così per 3 giorni. Ricordiamo che ci sono eroi con chiome fluenti, camicia aderente e pantaloni a zampa nonostante il clima da foresta pluviale: questi sono gli eroi. Speravo però di vedere più gente nuda.
Abituato ai festival dei Metallari, mi trovo spiazzato senza i sacrifici umani, i caproni che scorrazzano furibondi e il Diavolaccio Belzebù che si manifesta per tirare schiaffoni sulle orecchie, ma mi abituo rapidamente appena m'accorgo che c'è birra. E poi sudo come un'anguilla, ho bisogno di recuperare sali minerali che temo di non trovare nella poltiglia verdastra che servono nella tenda beduina, né credo che il peyote sia questo grande integratore, ergo birra e pace universale.
Sul palco si esibiscono gruppi in linea con lo spirito del festival, quindi essenzialmente calvi. Rilevo solo la presenza di quel panzone di Bernie Marsden, chitarrista dei Whitesnake nel periodo hard-blues, poi cacciato dalla band perché era troppo brutto (anche se sembra una cialtronata, è la tragicomica verità). Produzione sul palco da paura, nel senso che roba del genere la trovi a festival dove paghi dobloni sonanti, qui invece l'ingresso è gratis e ti chiedi in quale Stato mitteleuropeo ti trovi.

Vorrei scrivere una conclusione, ma devo anche recensire i Crazy Lixx e quindi vado di risparmio energetico. Sintonizzati per nuova recensione, almeno finché non arriva gente a farmi bere.

venerdì 22 maggio 2015

Monday Night Sbronz Catharsis



EVERGREY + LESOIR
11 maggio 2015
Work In Progress (Albignasego – PD)

Il ritardo di questo report è imbarazzante e ho poca inventiva, quindi propongo due scuse standard che mi gioco sempre quando ho gli attacchi di pigrizia:
  1. lo show è stato talmente trionfale, intenso, sconvolgente, che ci ho messo 10 giorni a riprendermi e solo adesso che sono finite le allucinazioni da esperienza ineffabile ho la serenità per scrivere;
  2. il corso di abilitazione per lustrascarpe che sto seguendo mi obbliga a produrre a ritmo continuo riflessioni scritte sull'evoluzione della metodologia del lustrascarpe e sulle tecniche più efficaci da usare in relazione alla calzatura, il che mi lascia poco tempo per i miei passatempi (per esempio picchiare le anatre lungo il Sile).

Prima che si scatenino i precisini... c'erano anche i Vitriol (che non hanno suonato per motivi che vanno dalle scie chimiche al Bilderberg fino ai rettiliani) e gli Zonaria (che non ho visto perché sperduto nella dedalica viabilità padovana).

Il WIP sembra sempre di più un lap-dance. Poi ti accorgi che hai sbagliato locale e sei finito proprio nel lap-dance a fianco. Mesto come un ramarro, ritorni sui tuoi passi e ti avvii verso il locale giusto, ben sapendo che lì ti attendono i Metallari Maschi Proletari, profumati dopo una dura giornata di lavoro nelle acciaierie della provincia veneta.
Locale semipieno o semivuoto a seconda del livello di ottimismo, solito drappo funerario calato sulle spine di birra ma frigo pieno di bottiglie dignitosissime (al punto che a una certa ora la birra rossa era finita... in effetti, può essere una prova della sua dignità o della sua esiguità), atmosfera rilassata perché è lunedì sera e ci mancherebbe anche che qualcuno rompesse pure le scatole.

LESOIR. Mai sentiti prima. Noto che hanno due donne in gruppo. Una bionda che suona la chitarra e la tastiera. Una mora che canta, suona un'altra tastiera nascosta da qualche parte in un angolo del palco e ogni tanto anche un flauto traverso. Ci sono anche tre uomini, che immagino non avrà guardato nessuno. Non mi sono documentato, non mi sono piaciuti, non so che scrivere e quindi ci caccio questo aneddoto inutile: docente agli esordi, Heidegger entusiasmò gli alunni che seguivano i suoi corsi quando si inventò fortunate espressioni come "il mondo mondeggia" ("die Welt weltet") e "lo spazio spazieggia" ("der Raum raumt").
Se i Lesoir fanno gli intellettuali, allora lo faccio anche io.

EVERGREY. Se per catarsi intendiamo la purificazione dell'animo dalle passioni, come intendeva il buon Aristotele (che tra l'altro ha scoperto che gli organi sessuali del polipo si trovano sulla testa... e lasciamo in sospeso la questione sul perché si sia messo ha cercare gli organi sessuali del polilpo), allora poco si merita l'attribuzione di funzione catartica più dell'arte degli Evergrey. Musica intensa e spesso tragica, con testi che sanno colpire basso ed esplorare abissi di solitudine e disperazione (che spero di non sperimentare mai in prima persona).
E mi dispiace per quelli che vorrebbero la recensione dove prendo per il culo bassista stempiatissimo o il ChitarristaGesùCristo sbronzo che suona solo gli assoli che si ricorda.
Gli Evergrey sanno scrivere splendide canzoni, hanno una perizia impressionante nonostante il carico alcolico, hanno un cantante che lo riconosci anche quando canta canzoni di Natale alla tv svedese (non lo fa, me lo sono inventato come il 12% di questa recensione), per fortuna non sono anche bellissimi sennò bisognerebbe tirargli le pietre. Certo che, con un pezzo come “A Touch of Blessing”, si piazzano stabilmente da anni nella mia Top100 canzoni con cui dimostrare che il Metal è meglio.
Una serie di pezzi da godimento allo stato brado, inframmezzata da un breve set per piano e voce di intensità rara. Resta da chiedersi se il colossale cantante Englund sia così fenomenale perché è più carico d'alcol d'un 16enne in disco la domenica pomeriggio oppure lo è sempre e l'alcol serve solo come colluttorio.
Ma che si vuole di più da un lunedì sera?

Grazie a tutto lo staff del locale: per ora questo è stato il miglior show del 2015 e, dal momento che mi hanno anche offerto 3 casse di prosecco, cinque Haribo e delle anatre da picchiare, non posso che essere grato e inventarmi il fatto che il WIP è il più gran locale del Giappone.


giovedì 30 aprile 2015

GIRLSCHOOL: la pensione ancora no!

La batterista si sta avvicinando!


GIRLSCHOOL
+ CELLULITE STAR + CROMO
25 aprile 2015
Work In Progress (Albignasego – PD)

Quando il 25 aprile include grigliata infinita™™ nelle campagne di Sinistra Piave, un saggio uomo di mondo prevede una serata di immobilismo digerente (tipo l'anaconda quando si mangia un tapiro). Ma la saggezza alberga altrove, sennò adesso avrei un lavoro come usuraio e non farei un corso per “Venditore di Fumo e Cultura” (ottimo, peraltro, nei salotti medioborghesi dove tutti hanno la sindrome da deficienza culturale e non smentiscono mai le boiate che sparo per paura di fare figuracce).
Ed ecco l'intuizione: perché non percorrere 100 km in piena fase digestiva alla volta di Albignasego per vedere una band di signore british mai state belle ma poderose sì? Gente che tra fine '70-inizio '80 ha avuto il coraggio di farsi i Motorhead. Gente che a più di 50 anni gira l'Europa su uno scassato tour-bus per il solo piacere di suonare (giacché credo improbabile riescano a campare di musica, oggi che i CD hanno gli stessi dati di vendita delle VHS). Gente che va vista, anche se non mi ricordo mai i loro pezzi e devo farmi un ripasso stile “notte prima degli esami” per arrivare preparato.

Il Work in Progress è un capannone nella periferia padovana, che solo per il fatto di essere in zona Padova è irraggiungibile. In realtà dovrebbe essere facilissimo, ma sarà il mio DNA trevisano, sarà la perfidia degli ingegneri locali, sta di fatto che ci si perde come al solito.
Alla fine si arriva al WIP: accogliente live club dotato spazi “modesti e onesti” con geometrie non euclidee, privée con divanetti da provini porno, bancone con spina finta ammantata con sudario nero per occultare il barista che ti versa la birra dalla bottiglia, cesso che alle 22.31 si arrende alla scarsa mira degli avventori, acustica prepotente e pesca di beneficenza (no... purtroppo il mio desiderio di anzianità mi ha fatto sperare, ma non c'era).

CROMO. Arrivo che sono alla fine: mi becco un pezzo manowariano pieno di capelli e borchie, ma non faccio in tempo a fare headbanging (reggendomi la parrucca che sennò vola via) che la band saluta e se ne va. Giudizio impossibile da formulare, ma se la band avesse la possibilità di fornirmi due casse di vino buono e un kg di prosciutto, potrei anche scrivere che sono i Salvatori del Rock.

CELLULITE STAR. All-female band della zona che, a giudicare dalle recensioni in giro, pare aver imboccato la strada giusta con l'ultima uscita. Sfiga vuole che la drummer titolare si sia infortunata e quindi ci sia una sostituta che, seppur validissima, non permette di andare oltre una mezzoretta di show. A me, onestamente trasmettono poco o niente su album, anche se con l'ultimo c'è stato un miglioramente. Certo che, volendo dire la propria tra hardrock e punk, servirebbe un'irruenza che non si è vista e quindi rimando tutte alla prossima occasione.

GIRLSCHOOL. A un'età in cui di solito si diventa nonne (in Italia, mentre in Inghilterra si può anche diventare bisnonne), le 4 inglesi macinano ancora show in giro per il continente e raramente sbagliano un colpo. Impossibile che sbaglino stasera, visto che il loro compito è spaccare tutto e aiutarmi a digerire. A essere eleganti, si potrebbe dire che il tempo è stato clemente con le GS, ma mentirei, perché la batterista Denis Dufort è la Maga Magò con qualche anno in più e una dieta di birra/porridge/salsiccia. La cantante/chitarrista Kim McAuliffe assomiglia magicamente ad Alice Cooper senza trucco + Biff dei Saxon coi capelli tinti, ma assicuro che è molto meglio adesso che negli anni '80. Si salva la bassista/cantante, che pare una maestra d'asilo, ma è anche la migliore strumentista della serata e fa tiri da manicomio come girare la testa a 360 e chiedere al pubblico di non usare i flash (leggo ora che è anche astrologa, il che non spiega niente ma la vita è sempre una lunga ricerca verso l'equilibrio mentale). Jackie Chambers, infine, è una discreta chitarrista, gran bella donna, con pose da Rocker navigata e il completino in pelle che fa ululare ben più di un fan tra il pubblico.
Scaletta di classici, quelli che fanno buttare a terra gli over 50 ma che esaltano anche i fans nati in anni meno clementi per l'HeavyMetal e più clementi per le chiome. Noto tra il pubblico anche donne di età varia... fenomeno inspiegabile, spero che qualche antropologo possa aiutarmi.
Lo show si chiude in gloria e accenni di pogo, foto di rito e certezza che le GS saranno ancora qua a randellare quando io avrò avviato la mia carriera di osservatore di cantieri e ponteggi.

domenica 15 marzo 2015

La recensione difettiva su Lordi (inventata al 666%)



Lordi + SinHeresY + Dirty Passion
6 marzo 2015
Naonian Concert Hall (PN)

Ritardo.
Maledizione agli impegni sempre più pressanti al Centro Anziani, che ogni pomeriggio devo andare a truffare i vecchietti col gioco delle tre carte. Se poi ci mettete che il sabato c'è il taccheggio al supermercato... ecco che si spiega il tremendo ritardo con cui questo report viene inventato e messo online.
Ritardo.
Maledizione al corso per Venditore di Fuffa e Produttore di Triplici Copie Bollate, che mi blocca a Venezia fino a tardi e mi permette di arrivare a Pordenone solo alla fine dello show dei SinHeresY.

Ergo...
... per dire due parole sui gruppi di supporto mi affido al “sentito dire”, che, in barba al progresso e al buon senso, pare essere ancora la forma più diffusa di informazione.

“Ho sentito dire che” i Dirty Passion dalla Svezia sono una buona band di roccherrolle, che ha fatto il suo porchissimo show all'ora dell'aperitivo, davanti a un pubblico sparuto e dubbioso se quello fosse un soundcheck o il concerto vero e proprio. Incontrati poi in giro per il locale, si sono dimostrati gente semplice e variopinta: uno nerboruto e tatuato che potrebbe avere qualche speranza di riproduzione, un altro ha la bandana e sopra il berretto da orfanello, due sono fisicamente improponibili.

“Ho sentito dire che” i SinHeresY, band triestina che saltella tra Within Temptation, Lacuna Coil e violenza controllata, sono stati bravi. E che la cantante è stata bella. Di più non posso dire, perché mi sono informato presso gentaglia.

“Io vi dico che” Lordi e la sua band sono sempre un investimento sicuro. Vuoi i ritornelli ruffiani? 1 ora e mezzo di refrains senza cedimenti. Lo spettacolo? Tra costumi, scene horror, coriandoli, mummia che fa l'assolo tra due colonne di fuoco e frizzi&lazzi da commedia dell'arte, è meglio del Carnevale di Ceggia. Ci mettiamo dentro anche due pezzi da balera coi chitarroni che strizzano l'occhio all'ascoltatore 60enne. Il merchandising da horror anni '80? Le T-Shirt di Lordi sono il trionfo del cattivo gusto e dell'esclusione sociale. Il pubblico estasiato? C'è anche quello, anche se con Lordi è sempre un problema star là a urlare e applaudire, col rischio di perdersi alcune delle impagabili cialtronate che la band improvvisa sul palco. E ancora: suoni ottimi e apporto del playback non definibile (il playback non definibile è abilità tipica delle band di liscio, mentre i Metallari, diciamolo, al 90% si fanno sgamare).
Lordi ha fatto 7 album. I primi da applausi, gli ultimi stanchi, ma in tutto una dozzina di hit singles facilone da onanismo sfrenato e una voglia di intrattenere che mette in riga le migliaia di band jeans/maglietta/sguardoinbasso che magari tecnicamente son 2 spanne sopra, ma che ti dimentichi prima ancora che finiscano lo show.
Vanno visti almeno una volta, ma sbrigarsi, perché prima o poi si squaglieranno dentro i costumi di gommapiuma.
Dato l'impressionante turnover di strumentisti, probabile che Lordi se li mangi quando ha i cali di zuccheri (vista anche la sua circonferenza in costante espansione).

Pubblico? Trasversale e numeroso. Genitori spiazzati che accompagnano figli minorenni neanche fossimo a un incontro di wrestling, Metallari, morose di Metallari che per una volta concedono ai compagni un concerto (e gliela faranno pagare, oh se gliela faranno pagare), fans del gothic tutti pizzi e merletti tipo Signorina Silvani a un funerale: solito repertorio.
Non troppa gente da morire soffocati, ma abbastanza da lasciar contenti band e organizzatori e quindi far sperare che si possa sperare che la Naonian Concert Hall possa continuare con una programmazione da Trucidi Metallari (senza scontantare i Trucidi Punk e i Trucidi Indie che sono così amati a queste latitudini).

martedì 3 marzo 2015

Non tutto è svedese quel che luccica



SISTER + SCREAM BABY SCREAM + GHOULS STONE VALLEY
21 febbraio 2015
Grindhouse (PD)

Leggi prima qui, utente casuale che capiti sul blog seguendo i link su Facebook: sono opinioni personali, non è una testata giornalistica. Se voglio mettere le setlist lo faccio, anche se preferisco descrivere i panini che mi sono mangiato durante gli show. Se non ci sono panini, di solito osservo le scarpe degli avventori. Se il locale è deserto, mi concentro sui water o su questioni di etica aristotelica. Ogni tanto mi ricordo di scrivere di musica, ma sono fondamentalmente pigro e preferisco la delinquenza spicciola. Ho 63 anni ben portati, 8 figli di cui solo 3 in politica. Una zingara mi ha maledetto nel parcheggio dell'Ipercoop giusto ieri e quindi non vivrò a lungo, quindi scrivo a caso, che tanto sono impunito.

Ci si organizza: uno mette l'auto, uno il GPS, uno sta male prima di partire, io guido al ritorno perché ho smesso di bere nel 1986 (dopo aver dedicato all'alcol i primi 9 anni della mia vita... altro che voi, che a 9 anni iniziate). Nonostante tutto questo dispiego di forze, la strada per arrivare al Grindhouse resta uno dei grandi misteri della mia vita: anche stavolta, una strada diversa. Qua bisogna rassegnarsi, lo spazio e il tempo sono concetti troppo limitati per una città come Padova.
Per la descrizione del locale rimando a una recensione precedente, così economizzo gli sforzi che domani bisogna alzarsi presto per rubare autoradio. Preciso solo che al bar hanno la Red Bull vera e che nel doposhow c'erano le donne succinte. Ho i testimoni.

GHOULS STONE VALLEY. Malissimo.

SCREAM BABY SCREAM. Mai visti né sentiti prima, a riprova della mia grande professionalità nell'aggiornare gli ascolti. Gruppo migliore della serata, sul palco hanno il piglio indiavolato e sornione di chi sa che quelli che suonano prima sono fuori classifica e quelli che suonano dopo sono solo fisico & chiome. I bene informati mi dicono che all'estero viaggiano bene, non ho capito se fosse riferito al fatto che hanno un aereo privato o solo che piacciono al di là della Alpi. Comunque sparati come missili, con le tastiere tunz tunz e la chitarra “sentononsento”. Il look da non-morti e anche un po' luridi piace molto ai superfans invasati della prima fila ed è successo meritato. Il cantante ruggisce come un satanasso che si fa il bidet con l'acqua santa e il bassista si colloca a metà strada tra Nicholas Cage e Marylin Manson (senza trucco), ma stia attento perché tra 20 anni rischia di essere Pippo Baudo. Livello di putrefazione adeguato, faranno strada se non si decompongono prima.

SISTER. Su disco i Sister non mi piacciono: li trovo troppo grezzi e non riesco a scovare loro pezzi memorabili. Dal vivo, complice anche un look da Metallari assassini “facepainting-borchie-tinte corvine-cuoio” che sembra di vedere i Taake, promettono almeno di essere minacciosi. Certo, nei primi due pezzi sparano tutto il ghiaccio secco che possono e il locale diventa Treblinka. Dalle nebbie s'intuiscono i pericolosissimi Sister, con le loro chiome a tinte coordinate e i ghigni malvagi che però al bassista vengono male e sembra solo felice di essere al Grindhouse a suonare invece che a sventare aringhe a Stoccolma. Il cantante pecca di dilettantismo aspettando gli ultimi due pezzi per mettersi a petto nudo: hai un chirottero tatuato sul petto, due pistoline sul pube, fai il personal trainer di lavoro e ti smutandi alla fine? Chi è il consulente d'immagine di quest'uomo? Comunque nessuna illuminazione per me, anche se a parecchi son piaciuti. Giudizio personale, ovvio, che sennò qualcuno s'adombra.

  • Grazie allo staff del Grindhouse per l'accredito, che onoro in vergognoso ritardo scrivendo questa recensione dopo 2 settimane, ma ho finalmente ottenuto gli arresti domiciliari e sarò più puntuale.
  • Grazie a Lorenzo Vettorello di Notturno Metal, che mi spedisce in giro per il mondo a vedere i concerti ma non pretende che io scriva di musica.
  • Grazie ai Ghouls Stone Valley per aver suonato poco.
  • I miei compagni di viaggio, che avrebbero potuto molestare più donne e bere altri 6 litri di vodkaredbull, che tanto al ritorno guidavo io. E invece... 

giovedì 22 gennaio 2015

Panevin: rituali pagani di crapula nelle nebbie padane



“Panevin” è il falò dell'Epifania e qui in zona (in alto a destra nella cartina dell'Italia) è una tradizione così sentita che cominci a frequentarlo autonomamente se sei over 40 oppure sei nato in campagna e sei abituato a passare le giornate al bar coi vecchi.

Il più celebre in provincia di Treviso è quello di Arcade, ma è l'equivalente (per affluenza, prezzi e tipologia di umani) di una festa estiva al Faro di Jesolo. Evitato.
Ci sono quelli piccolissimi, praticamente degli incendi nei giardini privati, ma di solito devi essere imparentato coll'organizzatore per accedervi. Improponibili.
Non mancano quelli dei vari paesini: più piccolo è il paesino e più è facile ottenere cibo e brulè, ma è anche rischioso perché gli autoctoni si conoscono tra loro e lo straniero è guardato con sospetto. Bisognerebbe avere un agente sul posto, tuttavia quest'anno i miei scagnozzi hanno optato per darsi alla macchia.

La Soluzione è il Panevin di Camate (cercare su Google, compare una specie di Area 51).
Collocazione: campi. A ridosso di una cava.
Strade per arrivarci: 2, strette la scala del pollaio e costeggiate da fossi esalanti nebbia gelata.
Parcheggio: lungo la stradina, due ruote sulla carreggiata e due ruote nel fosso.
Affluenza della grandi occasioni, non faccio stime ma qualche centinaio di vecchi è garanzia della qualità dell'evento.
Tavolacci a ferro di cavallo per la distribuzione di cibarie (offerta libera), più pesca di beneficienza e cori popolari.
Falò di 25 metri con albero piantato in cima. Sconosciuta la provenienza della legna, ma per arrivare in loco foreste non ne ho viste: questi avranno disboscato tutto l'entroterra. C'è anche il (piccolo) Panevin dei bambini, perché la piromania è meglio insegnarla in giovane età.

Cerimonia di accensione con le torce, come tradizione comanda, e nel giro pochi minuti le fascine elevano verso il cielo il tributo agli antichi dei di questi luoghi (lo scontro tra la cristiana Epifania e i vecchi riti agresti ha portato al compromesso di bruciare quella povera vecchia della Befana, vedi te...). Ci mettiamo anche la benedizione del prete, perché non è ancora chiaro se esista un Paradiso per i Celti, e nel dubbio è meglio tenersi buono anche Gesù.
Il fuoco brucia il passato e tutti osservano speranzosi le faville, presagio di tempi migliori o peggiori a seconda della direzione che prendono. Non avendo mai capito come interpretarle (chiedi a 10 persone e tutte ti dicono cose diverse), mi godo il bombardamento di calore e vengo naturalmente spinto verso i tavolacci delle cibarie. Peraltro, durante il rogo vengono recitati i proverbi sulle faville e capisco che è una materia in cui regna la confusione assoluta.

Prima di elencare le pietanze, faccio presente che bisogna prima superare lo sbarramento di anziani che stazionano là da ore per accaparrarsi tutto (tutto!). Prima riempiono le tasche, poi passano agli amici, poi s'infilano in bocca quello che avanza: tre porchi, due gomitate, un taglio di fila all'italiana (perché si forma la celeberrima “fila a imbuto”, specialità della nostra Penisola, ove vige la legge del più sfacciato) e qualche ramanzina sulla mancanza d'educazione dei giovani d'oggi. Alla fine si arriva davanti alle agognate pietanze:
  • Brulè bianco e nero: obbligatorio per sopportare un terreno umido e nebbioso da palude bonificata. C'è anche la cioccolata calda, perché sembra strano ma, invisibili sotto il livello della nebbia, ci sono anche dei bambini.
  • Pinza: si mangia sempre in attesa di altro, e siccome i tempi son lunghi, la pinza va via che è un piacere.
  • Pasta e fagioli. Si mette alla prova la resistenza degli affamati, giacché i vecchi in attesa riescono a reggere 5-6 piatti e ancora ne chiedono. Fanno anche bene, pasta e fagioli su livelli alti.
  • Piedini di porco. Lessati con sapienza, sono uno dei cibi poveri per eccellenza e speriamo che non li scopra qualche chef, sennò ce li troviamo come raffinatezza ai banchetti di matrimonio. E invece proprio qui, al Panevin, devono stare queste ossa ricoperte di pelle, setole, muscoli e tessuto connettivo, con la sporadica presenza di brandelli di carne! Mezz'ora di attesa prima di convincere la signora davanti a me che 3 piatti di piedini le potevano anche bastare, poi posso ingozzarmi.
  • Musetto, che in Italia chiamano “cotechino”. Qui parte la rissa: è chiaro che ogni anziano del circondario ha fin'ora scherzato, ma adesso è il momento di scatenarsi. Calca da primo giorno di saldi, piedi calpestati e file a imbuto che s'allargano, si restringono e si deformano come una marea: volano parole grosse (“Sta tento moro”, “De chi situ ti?”, “Va in mona de to mare”), si rischia l'incidente diplomatico. Meglio una ritirata dignitosa, nell'attesa che uno dei miei scagnozzi infiltrati nell'organizzazione porti fuori qualche avanzo.

È tardi ma non tardissimo, il cibo è finito e la gente abbandona la pugna. Il Panevin sta finendo di bruciare, il passato è in cenere e il futuro è incerto (almeno 3 proverbi garantiscono polenta abbondante, ma altrettanti sostengono che staremo stretti con le salsicce) e allora mi godo il presente: l'ennesimo brulé, il caldo buono della pira, musetti unti e le capriole della nebbia.

venerdì 9 gennaio 2015

Il Giorno delle Legnate

Giampi, OGM e Lex notano un piatto di fagioli incustodito

Metti che uno (nella fattispecie, Me) passi il sabato pomeriggio allo stadio di Rugby a svolgere le seguenti mansioni:
  • mangiare (panini) gratis
  • bere (Guinness) gratis
  • guardare la partita (giovanotti oversize che si menano, sporadicamente segnano punti, ancora più raramente giocano a Rugby)
  • promuovere la donazione di sangue --> Avis, mi raccomando! Non andate dalla concorrente Equitalia!
  • trasmettere affidabilità e suscitare fiducia nel sistema scolastico italiano
Uno che si dedica a tale immane impresa, la sera di sabato può forse scegliere un sano brodino di cavolodiavolo (cit.) e 2 avventurose ore di televisione? Giammai: invecchierò, ma non oggi.

Stasera, a Paese (la Los Angeles del Nord-Est), sotto un tendone da sagra... perché a Paese tutto deve avere un flavour da sagra, sennò la gente non si muove... dicevo, sotto il tendone è stato montato un ring.
E su quel ring si esbirà, per il mio diletto da bimbo di 10 anni, la Italian Championship Wrestling. ICW. Insomma, gente che si mena per finta ma sembra vero però è finto ma facciamo finta che sia vero: mi esalto come fossi nel pieno della mia puerizia, ma con l'aggiunta di birre (nella puerizia vera andavo avanti a patatine, Nippon e Ben Cola, mi stupisco di aver passato l'esame di quinta elementare).

Tendone da sagra con obbligatorio stand di birre e spritz, ma anche pop-corn/zucchero filato per soddisfare non solo in bambino che c'è in tutti noi, ma anche l'orda di nanetti di 8 anni che tiranneggiano nelle prime file.
Ring quasi professionale, allestimento generale decisamente meglio del previsto, motivatori di applausi che gironzolano per l'arena (vabbé, è un tendone, ma da ora in poi sarà “arena”), personaggi autoctoni che monitorano l'evento, gente casuale che crede suonino i Mirage (paladini del liscio sa sagra).
Poi via allo spettacolo e, siori e siore, è davvero divertente.
Gente in spandex che si tira schiaffi e fa voli immotivati dalle corde con l'unico intento di esaltare il pubblico e scatenare attachi d'epilessia nei bambini. Praticamente a metà strada tra i fumetti Marvel e la violenza da primo giorno di saldi.
Il messicano mascherato, il mafioso pericoloso, il buttafuori veronese che urla in dialetto mentre scaglia i nemici per aria, la rockstar mingherlina che viene battuta come una grancassa da un malvagio selvaggio brasiliano. Gesti atletici impressionati accompagnati da svarioni in stile traumatologia selvaggia. Una recitazione (perché nel wrestling si interpreta un personaggio... e Babbo Natale non esiste... e le strisce chimiche e le Torri Gemelle e i vaccini...) da “Vacanze di Natale” che serve a coinvolgere i bambini, ma anche gli adulti si spaccano dal divertimento... almeno fino a quando, tornati a casa, vedranno i loro figli provare i voli dal divano sopra i cristalli della zia ricca.
Il pubblico neutrale, quello capitato in zona solo perché c'è lo stand della birra, assiste entusiasta allo spettacolo. Alcuni azzardano anche il commento tecnico con un roboante: “Tìraghe 'na legna!”.

Alla fine dello show i wrestler sono disponibili a firmare autografi, fare foto e scambiare qualche chiacchiera. Visto che stasera ho 10 anni, mi lancio in mezzo ai lottatori per conoscere i miei nuovi eroi. In particolare cito:
  • El Tecnico, il messicano mascherato che vola come una zanzara e ai miei complimenti risponde: “Maracas!”
  • OGM, tanto violento e veronese sul ring, quanto simpatico e veronese nell'aftershow. Apprezzata tantissimo dalla gente di Paese la sua tendenza a esprimersi solo in dialetto.
Fighi anche gli altri, dai. Ma questi avevano il costumino più ganzo.

Lascio l'arena con la ferma intenzione di bere qualche altra birra al pub ed evitare di pagare applicando sul gestore una presa di sottomissione... ma questa è un'altra storia.

mercoledì 7 gennaio 2015

Espiazione tantalica



Devo aver offeso qualche divinità e sono stato punito. Non m'è chiaro cosa abbia condotto al supplizio. Forse perché ho picchiato un'anatra? O perché ho pianto ancora una volta davanti ad Hulk Hogan che solleva Andre the Giant? Oppure perché ho scioccato il mondo rivelando che le scie chimiche sono colpa dei draghi?
Comunque sia, mal di gola. Violento, doloroso, frutto della maledizione da parte di una divinità dispotica e imperscrutabile.
Ecco il resoconto di 4 giorni di sofferenza: quella vera, quella incomprensibile, quella di un novello Josef K punito per motivi misteriosi.

Day 1. La birra della vigilia.
Ogni buon uomo vuole passare la vigilia a bere birra e cantare gli auguri a Gesù Bambino, ma ciò non è concesso: la gola si chiude ermeticamente e anche deglutire risulta una missione impossibile. Il pub è affollato, la gente s'esalta per la nascita del mio sosia, la birra scorre a fiume e i cori s'innalzano al cielo anche per sovrastare un DJ-set di pessimo gusto. Ma non c'è festa per me, il mal di gola colpisce basso e la voce se ne va. Se non riesco neanche a parlare, sono come morto: potrei comunicare col dialetto dei delfini, ma nessun delfino s'è presentato al pub stasera e son obbligato a un mesto ritiro.

Day 2. Il pranzo di Natale.
Si profila un pasto di qualità insieme ai Parenti Stretti: antipasti di grassi saturi, tortellini di Valeggio, bolliti, musetto (“cotechino” per chi vive in Italia), ossobuco che a ripensarci a quanto era buono mi vien la mestizia, verdura perché sennò muori, panettone farcito di qualcosa. Eppure mandare giù ogni boccone è dolore, perfino il vino non aiuta e l'idea di riempirsi la bocca e deglutire aiutato da un boccale di cabernet mi porta aesibire in volto un crescendo di colori da soffocamento (dal rosso pompeiano in poi è emergenza). Anche in questo caso, mangiato tutto a discapito della salute, ma obbligatoria ritirata. La dignità è salva, ma prima di andare a letto latte-miele-grappa a secchiate.

Day 3. I Parenti di Campagna.
Equivalente alimentare delle Dodici Fatiche di Ercole. La cuoca, Miss G, ha diramato 3 giorni prima il menù: impegnativo, lunghissimo, pregno di grassi saturi e conflitti proteici. E la gola ancora duole, nonostante i due litri di grappa di pino mugo (aroma di pino mugo inesistente, retrogusto di cotto fiorentino e basalto, gradazione illegale). Arrivo in Campagna: sulla griglia scoppietta un misto di carne e pesce che preannuncia digestioni avventurose, i due forni lavorano a pieno regime, la famiglia ha stretto un accordo diretto con l'Ucraina per la fornitura di gas dei fornelli, il cane abbaia e mai smetterà per le prossime 7 ore.
Orrore degli orrori, Miss G ha mentito: il menù è ben più ampio di quello annunciato. Per evitare critiche e rivolte, ha occultato pietanze e secretato informazioni. Ci si dirige quindi rassegnati verso la taverna per iniziare il tour de force.
  • Antipasti in piedi, prevalentemente a base di pesce, ma con l'irrazionale presenza di una cinquantina di arrosticini d'agnello. E pizza.
  • Antipasti seduti, perché quelli in piedi non valgono. Gamberoni alla griglia, insalata di polipo, altre cose strane e in quantità non normali. Si beve vino, bevande gassate, thè dolce, radler, birre di marche esotiche (prevalentemente Est Europa), acqua (ma ti prendono per il culo).
  • I primi... esclusi dal Menù Fasullo, compaiono a tradimento... sformati di pesce, lasagnette con ripieni indecifrabili, altre pietanze che non ricordo perché a quel punto ho deciso di mangiare bendato.
  • I secondi. La cuoca ritiene che, avendo tutti gusti diversi, bisogna preparare un piatto per ciascuno. E siamo in 12, quindi invasione di pietanze sul tavolo e qualche commensale è costretto ad alzarsi per far posto a pentole e pirofile. Miss G ha unilateralmente deciso che io amo l'anatra all'arancia e quindi me ne prepara 2 (“Do ànare, 40 euro!” è il muggito di dolore del capofamiglia). Poi però mi è concesso di mangiare anche arrosto, brasato, musetto, bollito e altre 7 portate. Per ridere, portano in tavola anche della verdura.
  • Gli antipasti tris. Bisogna finirli, quindi altro giro in tavola.
  • Mandarini a valanghe. A quanto pare, ti guardano male se non ne divori una decina, fai la figura dell'ignorante che non mangia la frutta.
  • Dolci. Vabbé, ormai è una strage. Nessuno è in grado di alzare la forchetta, ma Miss G continua a portare in tavola, senza considerare minimamente le richieste di pietà dei familiari.
  • Caffé. Alcuni non riescono a berlo causa laringe occupata dal cibo e propongono di versarlo nell'orecchio. Altri cercano di darsi alla fuga, ma vengono bloccati sulla soglia dal nonno ultranovantenne che ha in serbo una sorpresa...
Nonno C, con l'unico scopo di fare il figo con sua morosa, sfodera la fisarmonica e si lancia in un repertorio che perfino Carlo Magno definirebbe “datato”. I cori sono però un'ancora di salvezza da Miss G, che è costretta controvoglia a interrompere il flusso di cibo per permettere alla gente di cantare: cantare o mangiare, non esiste altra possibilità. Se scappi in bagno, ti vengono a cercare.
Avendo la voce azzerata causa mal di gola, rischio di fare la fine di un'oca da foie gras. Per questo balzo in piedi, bacio parenti a vanvera e mi butto in macchina, sgommando via prima che Miss G mi tiri un'anatra all'arancia sul cofano.

Day 4. La chiusura.
Troppo per un povero malato. Accetto il pranzo passivamente... mi ricordo di aver mangiato pesce, oppure era cervo... vino, luci, mandarini, gente che più sei impresentabile e più ti ama... Comunque da domani dieta (e il giorno dopo, ovviamente, mal di gola passato).

... ma a breve altri resoconti su wrestling e Panevin... una vita di eccessi, la mia...

giovedì 4 dicembre 2014

Emiparesi & Scandi-AOR


H.E.A.T + SHERLOCK BROTHERS
30 novembre 2014
Teatro Miela (TS)


Questa foto l'ho rubata, non l'ho fatta io, fate gli applausi all'autore chiunque egli sia (autore, non denunciarmi... l'ho fatto per il Rock)

Barcollando e digerendo, eccoci al Teatro, dove troviamo gli Sherlock Brothers che saltellano sul palco. Avrei anche ascoltato qualche pezzo, ma resto ipnotizzato dal cantante a petto nudo: magro-acciuga ma col ventre sporgente come una palla medica. È giovane, quindi escludo l'alcolismo; mi sembra pure maschio, quindi metto via l'ipotesi che sia in dolce attesa; gli stitici non si gonfiano in modo così inumano; concludo che posso essere solo due soluzioni:
  1. s'è sfondato a pranzo, ma seriamente: zero dilettantismo;
  2. ha la Madre di tutte le ernie, va operato ed esposto nei musei di storia naturale.
Hanno anche suonato, purtroppo li ho ascoltati poco. Mi auto-assolvo, al bancone del bar c'era una concentrazione di rockstars locali da codice rosso e bisogna abbracciarle e baciarle tutte, sia mai che un giorno facciano i soldi veramente...
Poi, a un'ora imprecisata della notte, mi faccio anche la foto col chitarrista ciccione, che sproloquia sull'andamento del tour ma io riesco solo a fissargli una carie mostruosa (oppure stava masticando un kg di liquirizia).

Tocca infine agli headliner.
Qui a Trieste hanno organizzato agli H.E.A.T un trattamento da Royal Family, a quanto dicono i bene informati. Penso che già solo il pranzo italiano, per gente abituata ad aringhe affumicate e cetrioli, debba essere come fare all'amore per la terza volta (le prime due, si sa, non te le godi per la tensione e l'inesperienza). Poi, tra foto-autografi-intrallazzi-visite agli orfanatrofi, immagino che il soundcheck l'abbiano fatto le loro controfigure.
Numero di presenti dignitoso, tenendo conto che mezzo teatro è occupato dai divanetti, dove le sventurate morose dei rockers (le quali amano Capossela e Afterhours) possono addormentarsi mentre i compagni smanicati infuriano davanti al palco.
Non proprio in prima fila, però, perché c'è l'elemento a sorpresa. Front row di gran lusso, impossibile ai concerti Metal: solo ragazze (alcune col diploma di licenza media inferiore), altezza media 160 cm con picchi a scendere. I maschi di statura normale possono quindi vedere la band senza grossi problemi, a meno che non capiti il solito giocatore di basket che ti si piazza davanti (e capita sempre).

Irrompono sul palco le Rockstars Educate da Väsby-Svezia (dove non c'è nulla di rilevante, cit. Wikipedia).
Gli H.E.A.T hanno subito un notevole calo del peso medio, da quando Jona Tee, dopo dieta a base di sabbia e rucola, è dimezzato di dimensioni: avendo più spazio e mobilità, fa il bullo con due tastiere. Per fortuna il bassista continua ad avere la faccia a palloncino e il fisico infelice. Crash sembra sempre uno di Bayside School, Eric Rivers non sembra più Rocky, Erik Gronwall invece fa senso perché è magro come me quando avevo 5 anni e mi beccavo una malattia al mese.
Gronwall impressiona per come canta a pieni polmoni pur saltando e facendo tiri da profondo disagio mentale, tipo sputare in aria, prendere lo scatarro al volo e spalmarselo sul ciuffo. Aggiungiamo che, essendo giovanissimo (11, 12 anni), non ha ancora imparato la postura corretta e sta tutto storto, sorridendo a denti stretti per far vedere che la pulizia dentale acquistata su Groupon ha funzionato.
La setlist si trova sul Web, quindi non faccio neanche la fatica. Meritano però il cartellino giallo, perché si dimenticano i primi due album (“Late Night Lady” dal primo, “Beg Beg Beg” dal secondo e sfido a dire che è una bella canzone), mentre facessero “Castaway” potrei digiunare per una settimana. E poi questi hanno inciso “In and Out of Trouble” che è la canzone più figa degli ultimi 10 anni e non la fanno? Tanto vale spararsi subito sui testicoli e fare cover dei Deep Purple... maledetti, la cover l'hanno fatta davvero e io rischiato seriamente la calvizie! Mai più, H.E.A.T. Mai più.
Siccome poi ci si rompe le balle, ecco due highlights a caso (gli altri verranno inventati sul momento e narrati in prima persona, ovviamente dietro compenso).
  • Gara di scatarri: vinta a mani basse da Erik Gronwall, che peserà 30 kg ma almeno 4 kg i muco li ha spalmati sul palco. Eric Rivers tenta di stargli dietro, poveraccio, ma ne tira solo 3 o 4, certamente belli corposi, ma niente a che vedere con la maestria di Capitan Catarro Gronwall. Spero che la donna delle pulizie non denunci la band per vessazione.
  • Stage diving programmato: Erik si getta sul pubblico e non lo prende nessuno, poi interviene il fan club che lo solleva e lui canta il ritornello rilassato come se fosse sotto la doccia, ma a 2 metri da terra. Poi scende e bacia il primo maschione sudato che trova... con tutte le giovincelle che c'erano, questo s'avvinghia al primo metallaro che passa...
In ogni caso, show eccellente per questi ragazzi!

After-show.
Gli svedesi fanno cagnara al banco del merchandising insieme al fan club, pronti a farsi foto e firmare autografi. Piacerebbe fermarsi a discutere di Kierkegaard con loro, ma il dovere chiama e il cren continua a evitare magistralmente la digestione, quindi saluti agli H.E.A.T, alle loro mamme che li fanno andare in giro per l'Europa da soli (il progressismo scandinavo), alle ragazze che li sbavano e ai ragazzi che sbavano le ragazze che sbavano gli H.E.A.T.
Grande show, grande cornice, grande indigestione. Mi giro indietro e vedo la statua di James Joyce... lo scatarro di Gronwall è arrivato fino a là. Non so se sia un segno, a parlar per metafore ci si capisce solo tra spostati e complottisti, chi può dire se sia giusto che finisca così...
Addio Trieste, addio misto di caldaia, addio Rockers scandinavi.

P.S. Grazie ancora a Notturno Metal che mi spedisce in giro per il mondo e mi permette di vivere al di sopra delle mie possibilità. Ho anche avuto un caffè gratis all'autogrill. Purtroppo mi hanno beccato che scappavo dal bagno e ho dovuto pagarlo...

mercoledì 3 dicembre 2014

La recensione digestiva - NO MUSIC


MISTO DI CALDAIA + H.E.A.T + SHERLOCK BROTHERS
30 novembre 2014
Birreria + Teatro Miela (TS)

Oh lettore, concentrati sul desco e non sul volto. Solo sostanza, zero apparenza.

Questo blog è vita vissuta, sogni, orizzonti gloriosi, di convivialità e tradizione. C'erano forse gli H.E.A.T a cena con me a Trieste domenica 30 novembre? No, non c'erano.
E quindi gli H.E.A.T passano in secondo piano.

Domenica è riposo o faccende domestiche. Impossibile fare entrambe le cose, a meno di non credere che strasciare le ciabatte per terra serva a togliere la polvere. Non avendo pulizie da fare (quando la casa sarà invivibile, la darò semplicemente alle fiamme) e svegliandomi come al solito all'alba (anche se ho passato il sabato notte a pestare duro sul ballo liscio alla Sagra di Maser), decido si andare a mangiare a Trieste e, per digerire, di vedere la band svedese più amata dai maschi di 50 anni e dalle femmine di 18.

Accoglienza da dinastia regnante in una Trieste piovosa, splendida e scintillante:
  • parcheggio dispotico a 100 metri dal Teatro Miela, sede dello show;
  • guida locale a disposizione con pacco regalo contenente 4 pacchetti di patatine del Lidl sloveno (gusti alieni e rischio di contrarre la licantropia), comic originale di Conan il Barbaro edizioneitalianalacrimesangue, dispenser di caramelline con la testa di Thor (e qui commozione, quella vera, quella che non vedrete mai su Pomeriggio 5);
  • altri pacchi regalo con prodotti che nessun essere umano ha mai visto dal 1988 a oggi (e non dico altro, ma dietro pagamento vuoto il sacco senza vergogna);
  • breve giro turistico di 32 passi verso la birreria per la cena, con emozioni vere quando ammiriamo due barboni che preparano il giaciglio (dato il mio lavoro, prendo nota che non si sa mai);
  • tavolo riservato in stile ricevimento di nozze nella birreria, sita a distanza digestiva minima dal Teatro;
  • MISTO DI CALDAIA – fermi tutti –
Bollito imperiale degno di un tiranno austroungarico: cotechino, carré, lingua, coppa, testina di vitello, cragno, patate in tecia e crauti. E altro che non riesco a descrivere causa lacrime. Cren, ovviamente, e senape violenta. E maledizione allo show, io avevo bisogno di almeno un'ora di raccoglimento estatico. Invece mi tocca andare a vedere gli svedesi.
  • Commensali indispensabili, per estetica ed aneddotica. Uomini pieni di capelli come li vedevi in “Headbanger's Ball” nel '92, donne con look Rock'n'Roll che a confronto le Runaways erano delle dorotee. Storie vere e vissute, che sanno di lacca e disagio post-adolescenziale. Lancio di plettri a tavola. Discussioni su dischi che non esistono e su libri scritti in 8 copie, acquistabili solo vendendo l'anima o andando a lavorare come consulente finanziario. Tutto ciò che mi serve per dimenticarmi che c'è un concerto (e anche un conto da pagare, ma la finestra del bagno era troppo stretta e ho dovuto sganciare il denaro).

Doverosa pausa nella narrazione, ora. Bisognerebbe parlare di musica, ma l'autore e il lettore necessitano di silenzio per riflettere. Quindi a domani per la recensione sulle band, sempre che riesca a digerire il cren e mi ricordi chi ha suonato...

P.S. Non ho fatto nomi dei locali perché, ora che questo blog è letto anche al di fuori della mia famiglia, spero di farci i soldi sciorinando pareri entusiastici. I locali, in cambio, dovrebbero anche sganciare il denaro o, almeno, esporre al loro interno le mie sagome di cartone.

P.P.S. Le caramelline del dispenser le ho finite in 3 minuti... sono stato avvisato che, essendo americane, contengono il 157% di zucchero, quindi ho sviluppato dipendenza da questi dolciumi e, se mai vi incontrerò per strada e vi chiederò un euro, sappiate che non è per l'eroina.

... continua, tranquilli...

sabato 22 novembre 2014

Accetto le critiche e scrivo la recensione timorosa



HARDCORE SUPERSTAR + SEVENTH VEIL
19 novembre 2014
Gran Teatro Geox (PD)

Hardcore Superstar in grande spolvero, che snocciolano tutte le loro hits, compreso il nuovo singolo “Glue”, fino all'anthem “We Don't Celebrate Sundays” e la sempre fresca “Liberation”. Suoni di chitarra altalenanti, ma la verve è delle migliori e i nostri portano a casa l'ennesima prestazione da primi della classe. Pubblico entusiasta e colorato. Bella serata.

Ha senso una recensione così? Che potete leggere ovunque, che dice quello che dicono tutti e che mi ha fatto salire la mestizia mentre la scrivevo?
Per carità...

Ecco le cose serie.

Il Gran Teatro Geox, essendo a Padova, è irraggiungibile per principio. Eppure, dopo tangenziali contromano e salti del guard-rail, si arriva. Da fuori sembra l'ingresso dell'Aqualandia, ma con più stand per la birra.
Si teme la desolazione sotto il palco, visto che il Teatro è spazioso, siamo mercoledì sera e gli HCSS fanno le solite 32 date italiane. Ma gli organizzatori risolvono facendo suonare la band nella zona d'ingresso e sembra di essere nell'androne di un multisala. Il palco è sul lato corto, stretto tra le due pareti: insomma, ho visto gli HCSS suonare in un corridoio con la moquette e il soffitto da cattedrale.
Il bar interno è gestito da camerieri trendy, molto veloci ed efficienti nell'interazione con i molteplici casi umani. In effetti non c'è stata gran varietà nelle richieste, che andavano dalla birra a qualche amaro per ritornare alla birra e spesso fermarsi là. A un certo punto si spacca anche la cassa, ma l'orda di assetati non accetta ritardi e si va avanti senza, come fossimo in un mercato birmano.
Menzione d'onore per i bagni, lussuosi e pacchiani come quelli dei casinò sloveni (luoghi di perdizione che da anni mi riducono a mangiare pane e carote per mesi).

Pubblico variegato e pittoresco, ma che si risolve nella formula “HCSS attirano => femmine che attirano => maschi” (a rimorchio o speranzosi di sollazzarsi con gli avanzi degli svedesi). Come sempre i concerti sono l'occasione per sfoggiare l'abbigliamento da mail-order o le pacchianate comprate in gita a Camden di nascosto dalla mamma (noto che spaccano gli spandex, utili anche per interpretare il cicisbeo a Carnevale). Cotonature in calo, del resto gli HCSS non le usano e quindi il pubblico femminile non le apprezza... noto invece che le parrucche non tramontano mai. Avvistati anche completini sadomaso da filmino amatoriale: roba vera, roba nostrana, non delicatezze patinate da porno americano!
Intermezzo satirico. Sbronza come solo a 17 anni si può essere, la ragazza s'accascia al bancone chiedendo una birra; la barista, impietosa e schiava del lucro, serve la bevanda; la giovane butta già il primo sorso e lo rigurgita dentro il bicchiere pieno a velocità decuplicata, creando un apprezzabile effetto eruzione dal suddetto bicchiere. Poi s'accascia nuovamente sul bancone in attesa di anni migliori.
Ah, le minorenni ai concerti degli HCSS... molte avranno passato il pomeriggio a studiare per il compito di matematica, poi hanno fatto i famosi lavaggi anticoncezionali con la Cocacola e, indossate le mutande e messo lo scotch sui capezzoli, via verso i manzi scandinavi!

E narriamo del bestiame svedese, dunque.
  • Jocke, il fisicatissimo e inarrestabile cantante, esibisce l'intramontabile tinta corvina e le bretelle. Le scommesse lo davano a petto nudo dopo 2, massimo 3 canzoni, ma qualcuno deve aver truccato il sistema e Jocke si tiene la maglietta fino alla fine dello show, provocando isterismi che ricordo di aver visto solo nei peggiori lap-dance.
  • Adde, il batterista che piace a quelle a cui non piace Jocke, è biondo e con la maglietta. Abituate a vederlo moro e senza maglietta, le minorenni rimangono spiazzate e lo scambiano per un giostraio.
  • Vic Zino, chitarrista tascabile capellone, viene spesso accusato di essere un metallaro che ha snaturato il sound della band, ma a me sembra solo uno che se la spassa alla grande sul palco, senza porsi i problemi che assillano molti fans.
  • Martin, il sempre più pachidermico bassista (quello che non tromba mai, ma voglio fortissimamente credere che abbia una donna a casa che lo ama tantissimo), mi lascia sempre il dubbio: parrucca o no? A inizio concerto ha una coperta di capelli che ti fa esclamare “Parrucca!” con la sicurezza di un coiffeur, ma a fine concerto ha la piazza e ti vengono i dubbi. Son problemi.
PS Noto che nelle recensioni degli HCSS ho l'abitudine di farlo spesso, l'elenco puntato dei musicisti. Evidentemente, anche a distanza di anni, è sempre necessario puntualizzare quanti capelli abbiano e quanto sudino i singoli membri della band. Giusto per rendersi conto che il tempo è circolare e che assistere a uno show degli HCSS nel 2009 o nel 2014 è la stessa cosa... cambia solo la moquette.

Impegnato nel bagarinaggio e nel gioco delle tre carte, mi sono perso il gruppo di spalla, i Seventh Veil. Spiacente ragazzi, ma aver suonato in un multisala dovrebbe già essere motivo di vanto.
Gli HCSS invece non mollano un secondo, riescono sempre a piazzare una dozzina di pezzi da urlo, fanno spettacolo dal primo minuto all'ultimo, non invecchiano mai e piacciono anche quando sono sudati come anguille.
Ci sono gli estremi per prenderli a schiaffi.